Domenica sarà proclamato beato Benedetto Daswa, un laico ucciso nel 1990 per essersi opposto alla ricerca di un «colpevole» per un fenomeno naturale anomalo. Il vescovo Slattery che avviò la causa: «Un liberatore, come Nelson Mandela»
Domenica sarà un giorno molto importante per i cattolici del Sudafrica: nel villaggio di Tshitanini, nella provincia di Limpopo, si terrà infatti il rito della beatificazione di Benedetto Daswa, il primo beato originario del Sudafrica. A rendere questo evento particolarmente significativo è il fatto che Daswa è una figura dei nostri giorni: venne ucciso infatti appena 25 anni fa. Ma soprattutto la sua vita e la sua morte sono un messaggio estremamente chiaro su un tema che resta drammaticamente caldo in Africa: le superstizioni legate al mondo degli spiriti. Questo nuovo beato è infatti un insegnante che venne ucciso per essersi rifiutato di prendere parte a una caccia alle streghe.
Tshimangadzo Daswa – così si chiamava all’anagrafe – era nato nel 1946 nel villaggio di Mbahe in una famiglia legata ai culti tradizionali della tribù dei Lemba. Attratto dal gruppo dei cristiani che si radunavano sotto un grande albero, a sedici anni chiese il battesimo scegliendo il nome di Benedetto. Diplomatosi come insegnante, divenne il direttore della scuola locale; sposato e padre di otto figli, era una persona molto stimata anche fuori dalla comunità cattolica per la sua disponibilità verso tutti.
Quando, però, nel gennaio 1990 un temporale fuori stagione si abbatté sul villaggio e i suoi fulmini bruciarono i tetti delle capanne, Benedetto si rifiutò di pagare la quota richiesta a ogni famiglia per pagare lo sciamano: «La mia fede cristiana mi impedisce di partecipare a una caccia alle streghe», disse attribuendo quei fulmini a un fenomeno naturale. Poche sere dopo, il 2 febbraio 1990, mentre stava rientrando verso casa con l’auto, trovò la strada sbarrata da alcuni tronchi: quando scese per rimuoverli dalla boscaglia uscì una folla minacciosa che lo colpì a morte. Testimoni riferiscono che quando capì che lo stavano uccidendo lui si mise in ginocchio a pregare.
La memoria di questo martire è un messaggio che resta tuttora controcorrente in molti contesti africani (si veda ad esempio questa storia raccontata su Mondo e Missione da Eyoum Ngangué). E anche all’interno delle stesse comunità cristiane la tentazione di ricorrere alle credenze tradizionali per cercare un capro espiatorio di fronte a una morte improvvisa o a un altro tipo di calamità resta forte. Non succede comunque solo in Africa: anche in Papua Nuova Guinea, ad esempio, più volte negli ultimi anni i vescovi sono dovuti intervenire per scoraggiare questi fenomeni, che spesso si rivolgono contro chi è più povero o fragile.
Di qui l’importanza di additare una figura come il beato Benedetto Daswa come un modello per i cristiani: «La stregoneria è qualcosa di profondamente radicato nella cultura africana ed è molto improbabile che l’atteggiamento nei confronti di queste pratiche cambi in fretta. È dunque in forza di una speciale grazia di Dio che Benedetto Daswa è stato capace di vedere con chiarezza il contrasto con la sua nuova fede cristiana», ha commentato in un’intervista al settimanale cattolico sudafricano Southern Cross mons. Hugh Slattery, dei Missionari del Sacro Cuore, il vescovo emerito di Tzaneen che nel 2000 avviò questa causa di beatificazione. «Lui ha capito che non poteva impedire alla gente di credere nella stregoneria – continua il presule -, ma anche che poteva cercare di smontare le accuse facendo vedere che in questi casi l’individuazione del colpevole avviene sempre senza prove. Così ha cercato di proteggere delle vite innocenti. E questa sua coraggiosa testimonianza con il tempo potrà spingere molti a seguire il suo esempio».
C’è però anche un altro dettaglio della vicenda che mons. Slattery ci tiene a sottolineare: proprio quel 2 febbraio 1990, il giorno in cui Benedetto Daswa fu ucciso, l’allora presidente sudafricano De Klerk annunciò che Nelson Mandel sarebbe stato liberato dal carcere. Una coincidenza di date nella quale il presule legge un messaggio preciso: «Sia Benedetto sia Mandela erano guidati dall’idea di liberare il popolo dalla schiavitù – commenta il vescovo -. Mandela ha speso la sua lunga vita nella lotta per liberare il suo popolo dalle catene dell’apartheid. Daswa ha sperimentato prima di tutto nella sua vita la libertà interiore dalle forze degli spiriti e del male che la sua fede gli ha donato. A quel punto ha cercato di aiutare anche gli altri a sperimentare questa stessa libertà aprendosi a Cristo e alla gioia del Vangelo. In un certo senso si può dire che Daswa completa Mandela, dal momento che le persone hanno bisogno di una libertà interiore quanto di quella esteriore per far fiorire ed edificare una società giusta e sana».