Secondo l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), circa 860 mila persone starebbero per lasciare il Paese: la maggior parte sono sudanesi, ma moltissimi altri sono, a loro volta, rifugiati che si erano riversati in Sudan in fuga da Eritrea, Etiopia, Siria, Yemen e Sud Sudan
Se in passato erano gli abitanti del Sud Sudan a fuggire verso Nord, adesso sono le popolazioni del Nord a riversarsi a Sud. E non solo. Da quando sono iniziati i combattimenti tra l’esercito regolare del Sudan e il gruppo paramilitare Rapid Support Forces (RSF), a metà aprile, i flussi si sono invertiti e in molti stanno ora fuggendo da Karthoum e dalle zone dove i combattimenti sono più intensi, come in Darfur.
Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) circa 860 mila persone starebbero per lasciare il Sudan, di cui 580 mila sudanesi e 235 mila rifugiati stranieri che si erano riversati qui soprattutto da Eritrea, Etiopia, Siria, Yemen e Sud Sudan, per sfuggire alle guerre in corso nei loro territori. La maggior parte cerca di raggiungere l’Egitto, a Nord, e il Sud Sudan a Sud. Difficile stabilire con esattezza un numero preciso, dato che molti sono senza documenti. Il governo sud sudanese ha parlato di circa 50.000 persone. Migliaia di persone in fuga si sono riversate anche negli altri Paesi confinanti come Ciad, Etiopia e Repubblica Centrafricana. L’Onu ha lanciato un appello per raccogliere 445 milioni di dollari da destinare all’assistenza dei profughi almeno fino al mese di ottobre.
«La situazione umanitaria in Sudan e dintorni è tragica – ha dichiarato Raouf Mazou, assistente per le operazioni dell’Unhcr -: ci sono carenze di cibo, acqua e carburante, accesso limitato ai trasporti, alle comunicazioni e all’elettricità e prezzi alle stelle dei generi di prima necessità. L’UNHCR ha coordinato la pianificazione di emergenza con i partner per i nuovi arrivi nei Paesi confinanti con il Sudan. La crisi ha eradicato cittadini sudanesi ma anche rifugiati che ora stanno tornando nelle loro terre d’origine e altri cittadini. L’UNHCR e i suoi partner dispongono di team di emergenza e stanno assistendo le autorità con supporto tecnico, registrando gli arrivi, effettuando il monitoraggio della protezione e rafforzando l’accoglienza per garantire che i bisogni urgenti siano soddisfatti. Questo è solo l’inizio. C’è urgente bisogno di più aiuto»
Anche il ministro degli Affari umanitari del Sud Sudan, Albino Akol Atak, ha fatto una richiesta per oltre 4 milioni di dollari per trasferire i richiedenti asilo dallo Stato dell’Alto Nilo, dove le strutture di accoglienza nelle città di Paloch e Renk sono ormai congestionate, e dove alto è il rischio che scoppino epidemie. «Molte delle persone che fuggono dal conflitto sono ferite, comprese donne e persone anziane. Vogliamo assicurare a tutti i rifugiati che il nostro Paese sta facendo del suo meglio per accoglierli», ha dichiarato Atak.
Tuttavia, il presidente della Civil Society Coalition on Defense of Civic Space (CSCDC), Ter Manyang Gatwech, ha espresso la sua preoccupazione in merito alla trasparenza nella gestione del denaro che verrà impiegato per rispondere alla crisi sudanese: già in passato erano stati stanziati 10 milioni di dollari per le vittime delle inondazioni in Sud Sudan, ma non è chiaro in che modo quei fondi siano stati effettivamente impiegati. Il timore è finiscano nei meandri della corruzione dilagante.
Intanto, però, la fine del conflitto in Sudan sembra ancora lontana: sinora i tentativi di tregua si sono rivelati fallimentari e si contano almeno 700 vittime e migliaia di feriti, che faticano a trovare cure negli ospedali sotto pressione per l’arrivo di pazienti e per la mancanza di medicinali. Sabato 6 maggio sono iniziati i colloqui tra i leader dell’esercito sudanese e delle RSF a Gedda, in Arabia Saudita, grazie a un’iniziativa diplomatica promossa da questo Paese e dagli Stati Uniti. Sembra, però, che si stia discutendo solo di una tregua umanitaria, e ancora non si parla di veri e propri negoziati per porre fine alla guerra.