Violenti scontri sono scoppiati sabato tra l’esercito e un gruppo paramilitare sostenuto pure dai russi della Wagner. Anche Papa Francesco ha invitato deporre le armi e a far prevalere il dialogo
Anche Papa Francesco, durante la preghiera dell’Angelus di domenica, ha espresso la sua vicinanza al popolo del Sudan, dove in questi giorni è in corso uno scontro armato tra due fazioni militari che ha già provocato un centinaio di morti e decine di feriti: «Invito a pregare affinché si depongano le armi e prevalga il dialogo per riprendere insieme il cammino della pace e della concordia», ha detto il Pontefice, ricordando le tragedie che le guerre continuano a disseminare.
Gli scontri in Sudan sono cominciati lo scorso sabato proprio nella capitale, Khartum. Il sindacato dei medici sudanesi ha segnalato almeno 97 morti e oltre 300 feriti, molti dei quali non riescono a raggiungere gli ospedali a causa delle difficoltà di spostamento. Ai civili è stato imposto da subito di non uscire di casa e molti cittadini stranieri – compresi circa 150 italiani – sono ora bloccati nel Paese, essendo stato chiuso lo spazio aereo.
Le due fazioni in lotta sono l’esercito regolare, comandato dall’attuale presidente della Giunta che governa il Paese, il generale Abdel Fattah al Burhan, e il gruppo paramilitare Rapid Support Forces (Forze di Supporto Rapido, RSF), alla cui guida c’è il vicepresidente, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, chiamato anche Hemedti. Burhan guidò il colpo di stato che nel 2019 portò alla deposizione dell’ex presidente Omar al Bashir, e anche Hemedti vi prese parte. Inizialmente alleati – sin dal conflitto in Darfur – da diversi mesi la tensione tra i due generali è cresciuta sino a esplodere nello scontro militare.
Burhan aveva partecipato come comandante dell’esercito sudanese alla guerra in Darfur, durante la quale morirono migliaia di civili appartenenti alla popolazione non araba della regione. A perpetrare le violenze peggiori furono diverse milizie, tra cui i famigerati Janjaweed, di cui faceva parte anche Dagalo, responsabile di gravissimi crimini. Nel 2013, per volere del governo dell’allora presidente Omar el-Bashir, le forze Janjaweed vennero ricostituite in un apparato paramilitare con in nome di RSF.
Fu proprio Bashir a mettere Dagalo a capo del gruppo, che dal 2017 controlla anche le miniere d’oro del Darfur. Nello stesso anno ha iniziato a ricevere addestramento militare dai miliziani russi della Wagner, e armi sempre più sofisticate. Questo ha fatto sì che le RSF allargassero la loro influenza. Mentre il gruppo Wagner avrebbe preso il controllo di alcuni siti minerari, attraverso società di facciata, come Meroe Gold e M-Invest, contro le quali il Consiglio dell’Unione Europea ha imposto nuove sanzioni a fine marzo, dopo che lo aveva fatto anche il Dipartimento del Tesoro americano.
Dopo il golpe del 2019, che ha deposto Bachir, era stato istituito un governo di transizione democratica con a capo Abdalla Hamdok, che, a sua volta, è stato destituito nel 2021 da un nuovo colpo di stato che ha portato ai vertici del Paese Burhan; Dagalo è stato nominato suo vice. Nel dicembre del 2022, a seguito di forti pressioni interne e internazionali, la Giunta ha acconsentito a restituire il potere a un’amministrazione civile; cosa che avrebbe permesso di rilanciare il processo di democratizzazione del Paese, in cambio di aiuti economici da parte della comunità internazionale. L’accordo, tuttavia, prevedeva anche lo scioglimento delle RSF e la loro integrazione nell’esercito.
Da qui gli scontri, sempre più violenti, cominciati nei giorni scorsi. Oltre al Papa, anche i membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu hanno dichiarato la loro profonda preoccupazione per la situazione, chiedendo la fine delle ostilità e l’apertura di corridoi umanitari per i civili intrappolati tra i due fuochi. L’Unione Africana è immediatamente intervenuta, opponendosi a qualsiasi «interferenza esterna» che complicherebbe ulteriormente la situazione. Ha invitato inoltre «i Paesi della regione e altri attori a sostenere gli sforzi in corso per riportare il Paese verso il processo di transizione e verso un ordine costituzionale». Gli scontri in Sudan sono stati anche oggetto di discussione durante il vertice del G7 esteri a Karuizawa, in corso in Giappone.