Alla vigilia della beatificazione in programma sabato a Orano l’arcivescovo emerito di Algeri, Henri Teissier – che coi 19 martiri della Chiesa d’Algeria condivise la scelta di restare accanto alla propria gente nei difficili anni Novanta – parla a «Mondo e Missione» della loro eredità: «È importante riconoscere ancora oggi questa scelta di fedeltà che si ripete in posti come la Libia, la Siria o l’Iraq»
«I nostri fratelli e sorelle uccisi sono stati vittime delle violenze nei posti in cui vivevano ed erano conosciuti. Gli attentatori volevano dimostrare che quelle relazioni e quella condivisione dovevano avere fine. Ma non è stato così». Nell’interva che apre il numero di dicembre 2018 di Mondo e Missione l’arcivescovo emerito di Algeri, mons. Henri Teissier che condivise con loro queli anni difficili, ricorda così i 19 martiri dell’Algeria uccisi tra il 1994 e il 1996 che sabato a Orano saranno proclamati beati.
«Erano i miei fratelli e le mie sorelle – racconta mons. Teissier, che ha lasciato la guida dell’arcidiocesi nel 2008 -. Avevo incontrato ciascuno di loro pochi giorni prima che venissero uccisi. Ricordo in particolare Pierre Claverie che era venuto a rimpiazzarmi ad Algeri perché ero andato al monastero di Tibhirine. Rientrando a Orano è stato ucciso».
Li definisce «martiri della fedeltà», per la loro scelta di rimanere accanto al popolo algerino nel momento della prova. «Per noi è importante riconoscere ancora oggi questa scelta di fedeltà anche in un contesto di pesante minaccia – spiega -. È la stessa che altri cristiani stanno vivendo attualmente in posti come la Libia, la Siria o l’Iraq».
«Tutti celebravano o partecipavano alla Messa ogni giorno, consapevoli che forse sarebbe stata l’ultima volta – ricorda in un altro passaggio dell’intervista mons. Teissier -. Sono tutti testimoni del messaggio cristiano che ci dice che si dà la vita non solo nel servizio di tutti i giorni, ma anche nella presenza nelle situazioni più difficili, sino alla morte».
L’arcivescovo emerito di Algeri parla, infine, del volto attuale della Chiesa in Algeria: «Oggi ci sono nuovi preti, religiosi, religiose e laici di diverse nazionalità e che non hanno conosciuto quel periodo di violenza. Siamo in una situazione diversa, anche per la presenza di molti cristiani di origine subsahariana. In alcune città non era rimasto nessun cristiano. Questi giovani africani, che sono in Algeria per studiare o come migranti, portano un grande dinamismo anche all’interno della Chiesa. Ma ci chiedono anche di aprirci a nuovi campi di impegno e a nuove sfide, soprattutto per quanto riguarda i migranti».