Trenta attentati suicidi dallo scorso aprile, ovvero più di uno alla settimana. L’ultimo questa mattina. È la tragica contabilità degli attacchi di Boko Haram nell’Estremo Nord del Camerun. Di cui non parla più nessuno. La testimonianza di fratel Fabio Mussi del Pime da Yagoua
Cinque persone uccise questa mattina, mercoledì 13 settembre: quattro civili e un kamikaze nella moschea di Sanda-Wadjiri nell’Estremo Nord del Camerun. Altre tre assassinate lo scorso 5 settembre a Dzaba, nella stessa regione, più otto persone rapite e quarantasei abitazioni e una chiesa date alle fiamme. È il bilancio degli ultimi attacchi del gruppo terroristico nigeriano Boko Haram che continua a seminare morte e distruzione in una vasta area nel cuore dell’Africa.
«Vivendo questa situazione dall’interno, a volte, la sottovalutiamo. O, meglio, non abbiamo il tempo e la voglia di pensarci troppo. Perché ci viviamo dentro con la gente del posto. Gli attentati e gli attacchi ai villaggi che seguiamo sono diventati un avvenimento che non ci sorprende più. Sono il ritornello settimanale con il quale anche i nostri operatori della Caritas di Yagoua sul terreno devono fare i conti continuamente». È la testimonianza che ci viene da Yagoua da fratel Fabio Mussi, missionario del Pime e responsabile della Caritas locale. La situazione nella regione dell’Estremo Nord del Camerun – e in tutta l’area del Lago Ciad – è di nuovo precipitata a causa dei ripetuti attacchi di Boko Haram. Attacchi di cui più nessuno parla. Perché colpiscono dall’interno e in maniera capillare – ma non “spettacolare” per gli standard mediatici occidentali – villaggi e obiettivi locali.
Solo la voce dei missionari e, recentemente, quella di Amnesty International tengono viva l’attenzione sulle azioni criminali di un gruppo terroristico che continua a tenere in scacco una vasta regione tra Nigeria, Niger, Ciad e, appunto, Camerun.
Secondo Amnesty International, «almeno 381 civili sono rimasti uccisi nella nuova campagna di attentati suicidi lanciata da Boko Haram in Camerun e Nigeria dall’aprile 2017, il doppio rispetto ai cinque mesi precedenti». Una campagna che ha visto quasi sempre protagoniste, loro malgrado, numerose bambine-kamikaze.
«Ancora una volta Boko Haram sta commettendo crimini di guerra su vasta scala, esemplificati dalla tattica depravata di costringere giovani donne a esplodere con l’unico obiettivo di uccidere il maggior numero di persone possibile – ha dichiarato Alioune Tine, direttore di Amnesty International per l’Africa occidentale e centrale -. I governi di Nigeria, Camerun e di altri Paesi devono agire rapidamente per proteggere i civili da questa campagna di terrore».
Evidentemente, però, la situazione sul terreno è tutt’altro che sotto controllo. « Il raddoppio degli attentati suicidi – sottolinea fratel Mussi – ci conferma che lo stato di insicurezza è ormai talmente “stabile” che qui non sorprende più nessuno».
Anche perché la gente è impegnata quotidianamente nella strenua lotta per sopravvivere. A causa dell’insicurezza, infatti, circa 7 milioni di persone hanno bisogno urgente di assistenza umanitaria e di protezione. E mezzo milione di bambini soffre di grave malnutrizione.
Per quanto riguarda l’Estremo Nord del Camerun, in particolare, Boko Haram ha ucciso almeno 158 civili dallo scorso aprile, un numero quattro volte più alto di quello registrato nei cinque mesi precedenti, con 30 attentati suicidi, ossia più di uno a settimana. «L’attacco peggiore – ricorda fratel Mussi – è avvenuto il 12 luglio a Waza, dove una bambina è stata fatta esplodere, uccidendo 16 persone in un mercato e ferendone altre 34. Noi avevamo un’équipe del servizio di idraulica rurale sul posto. Stavano mangiando a circa trenta metri da dove c’è stato l’attentato. Per fortuna non abbiamo avuto alcun ferito o altri danni, se non la paura di tutti per il rischio corso».
Lo scorso 31 agosto un altro attacco, attribuito a elementi di Boko Haram, è stato sferrato contro il villaggio di Makalabsakir, nel comune di Makari (vero il Lago Ciad). «In questo caso – continua Mussi – hanno ucciso diverse persone, tra cui il capo-villaggio, e ferito uno dei nostri animatori, Mahamat Abicho, che lavora nel settore della lotta contro la malnutrizione, progetto finanziato dal Programma alimentare mondiale (Pam). È stato subito portato all’ospedale di Mada. Mahamat, che è originario di quello stesso villaggio, è stato ferito a una gamba e ha perso molto sangue. È rimasto in coma cinque giorni. Finalmente, il 4 settembre, ha iniziato a risvegliarsi. Ora speriamo tutti che possa riprendersi completamente».
Dopo questo attacco, la Caritas di Yagoua è stata costretta a sospendere le operazioni di distribuzione per qualche giorno. «Poi però – dice il missionario – le mamme dei bambini che seguiamo ci hanno supplicato di andare avanti, perché, ci hanno detto, “noi, nonostante gli attacchi, dobbiamo continuare a vivere e sperare per i nostri figli”».
Fratel Mussi ha dovuto faticare non poco per convincere i responsabili del Pam – preoccupati come tutti per la sicurezza del personale – a riprendere le attività. «Alla fine – dice – anche loro si sono convinti che, lavorando con prudenza e in accordo con i Comitati di sorveglianza per la sicurezza, si potesse correre il rischio di riprendere la distribuzione degli integratori alimentari per i bambini. Continuiamo, passo dopo passo, cercando di valutare cosa sia meglio scegliere per il nostro impegno di solidarietà, ben sapendo i rischi che si corrono».
Una piccola ma importante nota di speranza viene dalla notizia della riapertura di 37 scuole nella zona di confine, proprio in questi giorni. «Ci auguriamo – conclude il missionario – che questo sia un segnale positivo e che le scuole possano funzionare con la presenza degli insegnanti e un minimo di materiale didattico. Non smettiamo di sperare, anche se con fatica, assieme alla gente che non può permettersi di abbandonare quel poco che ha per emigrare altrove».
I missionari del Pime sono presenti in Camerun da 50 anni. Questa ricorrenza sarà celebrata anche domenica 17 settembre, durante il tradizionale Congressino missionario al Centro Pime di Milano