Nato e cresciuto nel Pará, padre Dorielson è stato destinato a un villaggio ivoriano, insieme a un giovane confratello proveniente dall’India.
Da una grande città come Belém, nel Nord-est del Brasile, a un piccolo villaggio del Nord della Costa d’Avorio. Da un territorio di antica evangelizzazione che si confronta ormai con le difficoltà e le sfide di molte metropoli del mondo, ai ritmi lenti della savana africana, dove la gente è ancora fortemente legata alle tradizioni e alle religioni degli antenati e il cristianesimo è un seme che comincia a dare i suoi primi frutti.
Padre Dorielson Pinheiro Drago, 37 anni di São Sebastião de Boa Vista, è il parroco di Ouassadougou da un paio d’anni, dopo essere stato prima vicario e poi curato ad Ananda, sempre nella zona di Bouaké, principale centro del Nord. Qui era stato con padre Dino Dussin, un pioniere della presenza del Pime che celebrerà i cinquant’anni in Costa d’Avorio nel 2022. A Ouassadougou, invece, si è fatto carico dell’eredità lasciata da un altro missionario di lungo corso, padre Graziano Michielan, trasferito in Camerun come rettore del seminario Pime di Yaoundé.
Oggi padre Dorielson condivide il suo impegno missionario con un altro giovane, padre Krishna Babu Anand Mikkili, 38 anni, indiano. Un ulteriore segno di come la missione (Pime ma non solo) stia cambiando in termini di coordinate geografiche e anagrafiche. Anche se, di fondo, le sfide restano le stesse, specialmente in zone dove l’isolamento è una delle caratteristiche principali. «Il luogo è remoto, ma la comunità è vivace – spiega padre Dorielson, mentre ci mostra la grande chiesa intitolata a sant’Antonio da Padova -. Attorno a Ouassadougou seguiamo 23 villaggi in zone ancora più isolate. Con padre Anand ci alterniamo per coprire le lunghe distanze e raggiungere tutti almeno tre o quattro volte all’anno. È troppo poco perché le comunità riescano effettivamente a svilupparsi. Ma è quello che riusciamo a fare, garantendo, allo stesso tempo, anche le normali attività pastorali a Ouassadougou».
Quella delle distanze non è l’unica difficoltà. La lingua, la cultura, le tradizioni rappresentano altrettante sfide quotidiane. «Abbiamo circa 500 fedeli sparsi sul territorio, grazie soprattutto al lavoro fatto qui per cinquant’anni dai padri della Società delle missioni africane (Sma), che per primi arrivarono in Costa d’Avorio. Celebriamo le Messe in almeno due lingue, il baulé la più diffusa nella regione, e il n’gain tipica di questa zona e completamente diversa. Abbiamo ritrovato un messale realizzato da padre Giovanni De Franceschi, che aveva fatto un grandissimo lavoro sulla lingua, la cultura e i simboli specialmente del popolo baulé. Cerchiamo di insegnare anche il catechismo nella lingua locale, perché il livello di scolarizzazione è molto basso e pochissimi parlano il francese».
E così, accanto alle attività pastorali sono stati attivati anche corsi di alfabetizzazione e piccoli progetti di sviluppo. Ed è stato aperto un dispensario: «Ma c’è voluto un anno prima che i malati cominciassero a venire», fa notare padre Dorielson, che spesso si deve confrontare anche con le resistenze della gente a qualsiasi cambiamento. Ma anche con la necessità di ricominciare spesso da capo. «I giovani tendono ad andarsene dopo la scuola primaria, perché qui non c’è possibilità di continuare gli studi. E spesso non ritornano, se non durante le vacanze. Questo costringe anche noi a essere sempre pronti e flessibili ad affrontare i cambiamenti». Che è un po’ la cifra di tutte le missioni vissute nell’incontro e nel confronto.