Secondo i rappresentanti delle chiese dello Zimbabwe, il Paese per riprendersi dalla perdurante crisi economica ha bisogno di un periodo sabbatico di sette anni al fine di ricostruire la nazione dalle fondamenta
Negli ultimi mesi lo Zimbabwe è risprofondato in una crisi economica che sta portando il tasso di inflazione ai drastici livelli di più di 10 anni fa, quando nel 2008, durante la presidenza Mugabe, lo Zimbabwe raggiunse un’iperinflazione di 89 700 miliardi di miliardi di punti percentuali.
Medici e insegnanti hanno indetto una serie di scioperi perché non riescono a sbarcare il lunario, i prezzi di beni primari come il petrolio e l’elettricità sono quadruplicati causando black-out in tutto il Paese, le medicine scarseggiano. Chi pensava che l’economia dello Zimbabwe si sarebbe ripresa dopo l’ascesa al potere di Mnangagwa (divenuto presidente nel novembre 2017 dopo i 37 anni ininterrotti di governo di Mugabe, scomparso lo scorso mese), si sbagliava di grosso.
I leader delle chiese cristiane (ZHOCD, Zimbabwe Heads of Christian Denominations) hanno allora lanciato la settimana scorsa un appello nel quale affermano che “l’attuale devastante crisi economica, caratterizzata da una corruzione sistematica, carenza di petrolio, prezzi fuori controllo e il collasso del settore sanitario, ha bisogno di essere ricostruita dalle fondamenta con il supporto di tutti”.
Secondo i dati più recenti, quasi 8 milioni di zimbabwani hanno bisogno di assistenza a causa della siccità che sta colpendo il Paese. “La malnutrizione e la sospensione di servizi di base come l’istruzione e la sanità” continua il comunicato, “potrebbero avere un impatto negativo sia nel breve che nel lungo periodo”. Tutto ciò, combinato con un tasso di disoccupazione elevatissimo generato da un’economia stagnante rischia di far precipitare il Paese nel baratro, e deve quindi essere risolto alla base.
Per farlo è necessario un maggiore coinvolgimento della politica. Il partito al potere e l’opposizione non sono in grado di uscire dalla paralisi politica che sta portando lo Zimbabwe al tracollo economico. Anche di questo hanno parlato nel loro comunicato i capi delle chiese zimbabwane, secondo i quali deve essere trovato un comune accordo per il bene nazionale. Che un partito o l’altro sia al potere non ha importanza se non esiste una visione condivisa che abbia al centro la preoccupazione per i propri cittadini. “È la popolazione che continuerà a soffrire se come nazione falliamo nel trovare l’unità nella diversità”.
Nell’appello, pubblicato dal sito Independent Catholic News, si cita anche la National Peace and Reconciliation Commission (la Commissione nazionale per la pace e la riconciliazione o NPRC), organo previsto dall’ultima Costituzione dal 2013, ma entrata nel pieno delle sue funzioni solamente l’anno scorso. Con lo scopo di risolvere i conflitti violenti, i contrasti e le dispute a livello nazionale, ricalca la più famosa Truth and Reconciliation Commission del vicino Sudafrica.
Sebbene i leader cristiani riconoscano il ruolo svolto finora dalla Commissione nel cercare di esacerbare i conflitti razziali, la strada da percorrere è ancora lunga e il rischio che la situazione economica sfoci in violenza tra i vari gruppi etnici si manifesta come un fenomeno sempre più reale. In questo contesto “l’odio si fossilizza e la propensione alla vendetta cresce. Riferimenti casuali all’etnia come principio organizzativo della mobilitazione politica minacciano la stabilità nazionale in modi di cui molti potrebbero non essere consapevoli”.
Lo Zimbabwe infatti divenne completamente indipendente dalla Gran Bretagna solamente nel 1980 dopo una lunga serie di scontri politici che sfociarono ben presto in una guerra civile di sette anni basata (anche) sulle divisioni etniche del Paese. Con l’avvio successivo della presidenza Mugabe nel 1987 lo Zimbabwe è di fatto sempre stato governato da un unico partito, lo Zanu- Pf (Zimbabwe African National Union – Patriotic Front) e non ha quindi ancora avuto l’occasione di realizzarsi in una piena democrazia.
Per questo motivo i leader della chiese dello Zimbabwe propongono un periodo sabbatico di sette anni, e chiedono che vengano prese quattro misure per risollevare la nazione dal circolo vizioso in cui è sprofondata. In primis, è necessario stabilire un “meccanismo di recupero emergenziale” che faccia fronte alle necessità immediate della popolazione; successivamente bisogna ricostruire la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni (altrimenti il rischio è un’ulteriore disaffezione nei confronti della politica) e cicatrizzare le ferite del passato. Infine sono necessarie riforme politiche che procedano nel rendere lo Zimbabwe più democratico, così come riforme economiche inclusive.
Per ottenere il massimo coinvolgimento della popolazione il comunicato propone un referendum nazionale sul periodo sabbatico. “La questione del referendum nazionale cercherebbe di accertare se tutti gli zimbabwani sono d’accordo con la proposta di una sospensione di sette anni di ogni contestazione politica al fine di ricostruire la fiducia risanando tutte le ferite del passato” per mezzo di un’agenda d’azione condivisa.
La scelta del numero sette per questo tempo di ristrutturazione si rifà a tradizioni sia dell’Antico sia del Nuovo Testamento. Consapevoli che l’appello al periodo sabbatico riguarda un lungo processo, i capi delle chiese concludono chiedendo anche l’aiuto immediato degli attori istituzionali e degli organismi non governativi per stare vicino alla popolazione zimbabwana e alleviarne le sofferenze.