Akampene in Uganda è «l’isola della punizione», in cui venivano abbandonate le ragazze incinta prima del matrimonio. Una sopravvissuta racconta come è riuscita a perdonare.
La resilienza è «la capacità di autoripararsi dopo un danno e di riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante le situazioni difficili». Un atteggiamento che richiede coraggio, e che può nascere anche dal perdono.
Mauda Kyitaragabirwe è un’anziana donna ugandese che è stata intervistata nei giorni scorsi dalla Bbc. Non si sa di preciso quanti anni abbia, probabilmente 106, dice il nipote in base a un documento elettorale che risale a prima dell’indipendenza del Paese. È una delle sopravvissute di Akampene, l’ «isola della punizione», dove fino a non molti decenni fa venivano abbandonate e lasciate morire, senza cibo e acqua, le ragazze incinta prima del matrimonio. La motivazione non era solo quella del «disonore», ma anche del danno economico arrecato alla famiglia, che non poteva più pretendere la dote da un futuro marito.
«Quando la mia famiglia scoprì che ero incinta, mi misero su una canoa e mi portarono a Akampene» racconta Mauda, che all’epoca aveva solo 12 anni. «Restai lì senza cibo e acqua per quattro notti. Ricordo che avevo molta fame e freddo. Stavo quasi per morire».
La provvidenza, per Mauda, si concretizza il quinto giorno con l’arrivo di un pescatore. La vede e le chiede di andare a casa con lui. «All’inizio ero scettica», confida. «Gli chiesi se per caso mi stesse tendendo una trappola e se avesse intenzione di gettarmi nell’acqua. Ma lui mi rispose: “No. Ho intenzione di farti diventare mia moglie”».
«Così mi ha portato qui», prosegue Mauda, seduta di fronte alla veranda della casa che ha condiviso con il marito fino alla morte di lui nel 2001. L’abitazione si trova nel villaggio di Kashungyera, a soli dieci minuti di barca dall’isola delle punizioni, che oggi è un pezzo di terra ricoperto di erba nel lago Bunyonyi. Con il marito Mauda ha avuto sei figli, e oggi è circondata da nipoti. «Oh, mi ha amato – dice -. Si è veramente preso cura di me. Mi diceva: “Ti ho preso dalla selva e non ho intenzione di farti soffrire ancora”».
Il bambino di cui era incinta quando fu abbandonata nell’isola non è mai nato. Non lo dice apertamente ma si deduce che l’abbia perso a causa delle percosse ricevute dai parenti. Eppure, anche se ci sono voluti decenni, alla fine Mauda si è riconciliata con la sua famiglia d’origine. «Dopo essere diventata cristiana ho perdonato tutti, anche mio fratello che mi ha caricato sopra la canoa», dice.
Si dice che Mauda sia stata una delle ultime donne a subire questa pratica. Per fortuna, i tempi sono cambiati. «Se una giovane donna oggi rimanesse incinta, andrebbe da sua padre e la sua famiglia avrebbe cura di lei – conclude -. Le persone che praticavano quelle usanze erano cieche».
Qui il video dell’intervista