C’è anche un “debito ecologico” tra Paesi ricchi e Paesi poveri. E solo sanando questa ingiustizia la Terra potrà sopravvivere
È la prima enciclica che un Papa dedica alla custodia del creato. Ma è molto più di un generico appello a curare meglio il proprio giardino. Laudato si’ – l’attesissima lettera di Papa Francesco «sulla cura della casa comune» – è un documento che si capisce davvero solo se lo si guarda abbracciando il mondo intero. Squilibri tra Paesi ricchi e Paesi poveri compresi, che non sono un’altra storia ma uno degli elementi in gioco per dare una risposta ai danni creati dal cambiamento climatico.
Per questo – nell’approfondimento sulla Laudato si’ che proponiamo nelle pagine che seguono – abbiamo messo al centro quella che il Papa definisce l’«inequità planetaria» legata alla questione dell’ambiente. «Tanto l’esperienza comune della vita ordinaria quanto la ricerca scientifica – scrive Bergoglio citando i vescovi della Bolivia – dimostrano che gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali li subisce la gente più povera» (n. 48). E allora – continua Francesco – «un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (n. 49).
È un discorso che non riguarda solo i singoli, ma anche i rapporti tra le nazioni. Così il Papa nell’enciclica si spinge ad affermare che esiste un «debito ecologico» tra il Nord e il Sud del mondo. Perché le società più industrializzate continuano tuttora a sottrarre ai Paesi più poveri materie prime a basso prezzo per alimentare una corsa al consumo che sarebbe insostenibile su scala planetaria. Ma Bergoglio cita anche il caso dell’esportazione dei rifiuti tossici e «dell’attività inquinante di imprese che fanno nei Paesi meno sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano loro capitale».
Di qui l’invito di Papa Francesco a una conversione radicale, dove le misure da adottare per salvare il pianeta devono diventare anche un’occasione per sanare questo debito. «In diversi modi – denuncia Papa Francesco -, i popoli in via di sviluppo, dove si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuano ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro. La terra dei poveri del Sud è ricca e poco inquinata, ma l’accesso alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è loro vietato da un sistema di rapporti commerciali e di proprietà strutturalmente perverso. È necessario che i Paesi sviluppati contribuiscano a risolvere questo debito limitando in modo importante il consumo di energia non rinnovabile, e apportando risorse ai Paesi più bisognosi per promuovere politiche e programmi di sviluppo sostenibile» (n. 52).
Ma – nel concreto – quali volti assume il «debito ecologico» di cui parla il Papa? E come lo si può affrontare davvero? Nelle pagine che seguono lo abbiamo chiesto ad alcuni missionari che nel loro ministero fanno i conti con tre grandi sfide citate dal Papa: il cambiamento climatico, l’estrazione mineraria selvaggia e l’accaparramento delle terre nei Paesi del Sud del mondo.