Grammatica dell’incontro

Grammatica dell’incontro

Un missionario ivoriano del Pime ha scritto un’opera in due volumi per comprendere più a fondo la lingua e la cultura mizteche

 

Finalmente, dopo una lunga attesa, ho avuto la gioia di veder pubblicati i due volumi sulla lingua mizteca ai quali ho lavorato negli ultimi due anni. Qualcuno potrebbe chiedersi come possa essere venuta l’idea a un missionario come me originario della Costa d’Avorio di buttarsi in questa impresa. Premetto che non sono un linguista e non ho nessuna formazione in quest’ambito. La necessità di studiare la lingua di questa popolazione è nata in me da esigenze pastorali. Da quando il Pime mi ha inviato in Messico, subito dopo la mia ordinazione sacerdotale nel 2011, ho sempre vissuto tra gli indigeni miztechi. E mi sono detto che se questi ultimi hanno il diritto di parlare e pregare nella loro lingua, il missionario ha il dovere di rompere le barriere linguistiche per avvicinarsi a loro. Ma la spinta a scrivere un libro – poi spiegherò come sono diventati due – per comprendere la lingua locale affonda le radici più indietro nel tempo.

Nel mio Paese, la Costa d’Avorio, ho visto dei missionari fare lo stesso lavoro. In particolare due di essi, il prete francese Michel Carteron della Società delle missioni africane (Sma), e il padre italiano Giovanni De Franceschi del Pime, hanno lavorato molto per far sí che il baulè, la mia lingua, si  potesse leggere e scrivere. Questi due sacerdoti si sono dedicati allo studio sistematico e scientifico della cultura baulè, pubblicando libri, dizionari e, in particolare, la grammatica. I linguisti ivoriani continuano a utilizzare il lavoro di questi preti come fonte di ricerca per la produzione di altri documenti. Questi missionari hanno studiato il baulè per farci gustare il Vangelo.

Il  giorno della mia prima Messa, il 10 luglio 2011, ho chiesto a padre Giovanni De Franceschi (deceduto nel 2014, ndr), che mi ha accompagnato in tutto il processo formativo in Costa d’Avorio, di fare l’omelia. Il prete italiano ha predicato nella mia lingua, e alla fine tutti hanno applaudito. Il sindaco ha chiesto copia della predica per gli archivi comunali. Non dimenticherò mai quel giorno.

Da allora, ho deciso di dedicarmi allo studio della lingua e della cultura dei popoli con i quali avrei lavorato. Arrivato in Messico, i miei superiori mi hanno mandato sulle montagne del Guerrero con i fratelli miztechi, affidandomi il compito di studiarne la lingua e la cultura. Ho accettato l’incarico con grande entusiasmo, nonostante le inevitabili difficoltà. Questo studio arduo e costante, ma anche appassionante, mi ha portato a realizzare due volumi per un totale di 300 pagine per far conoscere la popolazione mizteca e capirne lingua e mentalità. Ma è stato un percorso non privo di ostacoli.

A Cuanacaxtitlán, la mia prima destinazione in Messico, avevo cominciato a scrivere una piccola grammatica quando, dopo diciotto mesi, sono stato trasferito a La Concordia, una missione di 34 villaggi sempre sulle montagne dello Stato di Guerrero. Qualcuno mi ha subito detto di non preoccuparmi, perché la lingua era la stessa. Il 15 gennaio 2014, sono arrivato a La Concordia, per cominciare la nuova esperienza. Però che delusione! Il modo di parlare, i verbi, il vocabolario, l’accento, anche il modo di salutare… tutto era diverso da quanto avevo imparato a Cuanacaxtitlán. Tutto ciò che avevo imparato fino ad allora non serviva. Infatti il mizteco è la lingua messicana con il più alto livello di variazioni linguistiche: 81 per un bacino di 500 mila persone che parlano questo idioma.

Timidamente ho cominciato  ad amare ed accettare la realtà de La Concordia. Così ho ripreso a studiare la lingua per poter svolgere meglio il mio servizio pastorale. E, alla fine, di “grammatiche” mizteche ne ho realizzate due. Entrambi i testi sono divisi in tre parti. La prima contiene informazioni sociolinguistiche: storia e origini dei miztechi, geografia, economia, organizzazione familiare e sociale, visione del cosmo e valori, medicina naturale e pratiche tradizionali. La seconda parte è quella più tecnica, con nozioni di ortografia e grammatica, i tempi verbali e i numeri. L’ultima sezione è un vocabolario essenziale dei modi di dire e un lessico bilingue mizteco-spagnolo. In appendice ci sono alcuni testi utili per comprendere le problematiche delle popolazioni indigene: due dichiarazioni delle Nazioni Unite – quella sui diritti dei popoli indigeni e quella sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale -, la legge sui diritti linguistici dei popoli autoctoni e alcuni articoli della Costituzione messicana sugli indigeni, e infine il magistero della Chiesa cattolica sui popoli indigeni. Non mancano fotografie per illustrare alcune affermazioni.

Lo studio della lingua è stato per me il mezzo per raggiungere una finalità importante: annunciare il Vangelo ai popoli miztechi. Diciamo tante cose nelle prediche, però quanti fedeli capiscono? Per quanto belle possano essere le nostre omelie, finché ci esprimiamo in spagnolo, il messaggio non tocca il cuore! La gente si confessa in mizteco e diamo l’assoluzione senza avere nessuna idea del tipo di peccato. Ci consoliamo usando abusivamente l’espressione supplet Ecclesia del Codice di diritto canonico, però al penitente farebbe anche piacere ascoltare i consigli del sacerdote.

Dice Papa Francesco nell’enciclica Evangelii Gaudium: «Come a tutti noi piace che ci si parli nella nostra lingua materna, così anche nella fede, ci piace che ci si parli in chiave di “cultura materna”, in chiave di dialetto materno  e il cuore si dispone ad ascoltare meglio. Questa lingua ha una tonalità che trasmette coraggio, respiro, forza, impulso».

Lo studio del mizteco e l’inculturazione del Vangelo è fondamentale per la pastorale. Questo è il motivo del mio sforzo. Dopo la pubblicazione di questi due testi, resa possibile da una donazione di un sacerdote di Milano, ho un sogno: creare un’applicazione internet e per telefonia mobile gratuita per rendere disponibile la ricerca a tutti. Vorrei anche coinvolgere altri confratelli in questa avventura, perché il lavoro di squadra produce molti più frutti e l’inculturazione del Vangelo è una sfida entusiasmante che richiede continuità