A sud di Phnom Penh, una scuola sociale di design insegna a decine di ragazze e ragazzi il mestiere di orafo. Un progetto che punta all’eccellenza, coniugando stile italiano e tradizione locale
È nata da un intreccio fecondo fra Oriente e Occidente, fra design italiano e la tradizione millenaria cambogiana di lavorazione dell’argento. A sud di Phnom Penh, la Bottega dell’arte è una scuola di design sociale che ogni anno forma 25 ragazze e ragazzi all’arte orafa e alla produzione artigianale di gioielli. Pezzi unici realizzati da giovani di famiglie povere, che imparano un mestiere e, alla fine di un corso di due anni, trovano subito lavoro.
A ideare il progetto, nel 2008, è stata l’italiana Martina Cannetta, 48 anni, insieme ai suoi genitori, Alberto Cannetta, architetto, e Luciana Damiani, designer. La sua famiglia d’origine risiede a Milano, invece Martina vive a Phnom Penh da 15 anni, con il marito e una figlia di 10 anni. «Sono arrivata in Cambogia per caso – racconta -. Desideravo un’esperienza di lavoro all’estero e sono partita con un ente che si occupa di adozioni internazionali. Poi mi sono innamorata di questo Paese. Può suonare banale, ma è così. Mi ha conquistato il sorriso delle persone, la loro semplicità».
A sud di Phnom Penh c’è un grande lago, il Tompun, dove si coltiva una verdura acquatica che fa parte dell’alimentazione cambogiana, la morning glory. Oggi è un ambiente piuttosto malsano, a causa dei rifiuti della città che vengono scaricati nelle acque. Al centro c’è un villaggio su palafitte. Gli abitanti lavorano di notte, raccogliendo la verdura per i padroni del lago. Vivono ai limiti della sussistenza, senza servizi.
«Nel 2008, padre Mario Ghezzi del Pime, che era parroco in questa zona, mi disse che stava cercando di fare qualcosa per i giovani di quel villaggio – spiega Martina Cannetta -, che non hanno possibilità di trovare lavori decenti. Nello stesso periodo vennero a trovarmi i miei genitori. Con lo sguardo dell’architetto e della designer fecero questa osservazione: “I cambogiani hanno una manualità straordinaria, ma manca la creatività”. La gente di qui ha una grande abilità manuale, che oggi è sfruttata da grandi industrie manifatturiere cinesi che vengono qui per far realizzare oggetti a basso costo: impiegano le ragazze come operaie, togliendole dai telai tradizionali dove, con le loro capacità, potrebbero realizzare opere bellissime. Con i miei genitori ci venne un’idea: perché non aiutare queste ragazze portando il design, di cui noi italiani siamo esperti?».
Nel 2009 martina fonda la onlus “Il nodo” e riesce a coinvolgere dei designer italiani. Uno di loro, Renzo Bighetti – scultore, artista e marinaio di Levanto, che realizza gioielli in argento ispirati al mare – accetta di andare in Cambogia per provare a formare all’arte orafa un gruppo di ragazze uscite dal giro della prostituzione. I risultati sono sorprendenti. Ma il gruppo, dopo il corso, si disperde. «Quelle ragazze avevano alle spalle problemi enormi e non hanno continuato – spiega Martina -. A quel punto, è stato proprio Renzo a darci l’idea di creare una scuola, con corsi biennali per la lavorazione dell’argento, partendo dall’artigianato tradizionale ma insegnando a creare oggetti nuovi, originali e più interessanti per il mercato del turismo».
La Cambogia vanta una tradizione millenaria nella lavorazione dell’argento, che continua a essere estratto nelle molte miniere presenti sul territorio. Ma le tecniche rischiano di scomparire insieme ai pochi anziani che ancora ne sono detentori. “Il nodo” ha scelto di recuperare questa antica tradizione, radunando i maestri della lavorazione dell’argento ancora in vita e istituendo la Bottega dell’arte, che oggi è riconosciuta dal ministero del Lavoro cambogiano. La scuola produce bellissimi gioielli che vengono venduti per sostenere il progetto.
«Al termine del corso, ci assicuriamo che tutti trovino un lavoro con contratto regolare – afferma Martina -. I nostri diplomati sono molto richiesti, anche da grandi aziende, perché sanno produrre un gioiello dall’inizio alla fine». Ai motivi di orgoglio, però, si è affiancato in questi anni un rammarico.
«La scuola è gratuita, e diamo anche una piccola somma giornaliera, proprio perché vogliamo dare un’opportunità soprattutto a giovani di famiglie povere. Ma a frequentare il corso sono soprattutto ragazzi, perché le famiglie tendono a investire meno sull’istruzione delle ragazze, a farle lavorare il prima possibile. Così, dopo vari tentativi, abbiamo pensato di creare un altro corso più breve, di otto mesi, per la realizzazione di “gioielli morbidi”, rivolto alle ragazze. Un’azienda italiana di arredi per esterno, Paola Lenti, ci manda materiale avanzato dalla produzione: tessuti bellissimi con i quali ragazze di 15-16 anni realizzano una nuova linea di gioielli di stoffa».
Lo staff della onlus, in compenso, è tutto al femminile. Oltre alla fondatrice, ci sono una persona che si occupa dell’amministrazione e quattro project manager. L’associazione lavora anche nelle carceri cambogiane, con le donne recluse con i loro bambini. «Fino a pochi anni fa le mamme detenute potevano tenere con sé i figli fino ai 6 anni di età – spiega Martina -. Quando, nove anni fa, sono entrata per la prima volta in un carcere sono rimasta scioccata per il sovraffollamento e le condizioni di totale inattività alla quale erano costretti questi bambini. Abbiamo cominciato a lavorare per garantire un parto in ospedale per le detenute e vaccinazioni per i bambini, poi siamo riusciti a creare spazi gioco per i più piccoli in due carceri e un locale esterno dedicato a mamme e bambini nella prigione di Phnom Penh».
“Il nodo” vive esclusivamente di finanziamenti privati. «Non è sempre facile, andiamo avanti per tentativi ed errori – dice Martina – ma i ragazzi ci danno enormi soddisfazioni. Hanno fame di imparare».