Missionario carmelitano, responsabile della Caritas di Bozoum e blogger: padre Aurelio Gazzera si è sempre “messo in mezzo”. Per evitare stragi, ma anche per dare coraggio alla “sua” gente del Centrafrica
«Coraggio!». Lo ripete spesso. Come un invito ad andare avanti, nonostante le difficoltà, le violenze, gli imprevisti. Ma coraggio è quello che ci vuole anche per stare dentro una guerra strisciante che non si sa mai se e dove colpirà. E “Coraggio” è pure il titolo del libro, una raccolta di testi del suo blog, che ha raggiunto lo scorso marzo quasi 375 mila visualizzazioni ed è divenuto ormai un punto di riferimento per chi vuole avere informazioni sul Centrafrica. Anche così, padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano di origini cuneesi, porta avanti la sua missione. Perché – sostiene – «bisogna dare battaglia perché Dio conceda la vittoria». È la sua filosofia di vita, la sua ragion d’essere, specialmente da quando – nell’ormai lontano 1992 – ha scelto di vivere in Repubblica Centrafricana, uno dei Paesi più poveri al mondo, ma anche dei più travagliati. Una terra che non ha mai conosciuto una vera e prolungata stabilità politica e che da oltre cinque anni è attraversata da un devastante conflitto civile, in cui stanno giocando sporco anche i Paesi vicini e vecchie e nuove potenze coloniali.
Lo racconta con la passione di chi ha investito tutta la vita nella missione, scegliendo di stare accanto a coloro a cui è stato inviato. Nel bene e nel male. «A Bozoum ci siamo messi in mezzo – racconta, ricordando i tragici eventi degli ultimi anni – cercando di fare da argine alle violenze».
La presenza costante dei carmelitani in questa cittadina di circa 20 mila abitanti nel Nord-ovest del Paese – e prima di loro dei cappuccini che qui hanno fondato una delle prime missioni fuori dalla capitale, nel 1927 – ha effettivamente impedito che avvenissero stragi peggiori. Dal 2013, tuttavia, anche questa zona, come del resto quasi tutto il Paese, non conosce pace. «Ormai – testimonia padre Aurelio, che è superiore delle Missioni carmelitane in Centrafrica nonché presidente della Caritas diocesana – l’80% del territorio è in mano ai ribelli».
Già nel 2013, quando i miliziani della Seleka avanzavano verso la capitale Bangui, anche Bozoum è stata presa di mira. «Hanno ucciso e torturato molte persone – ricorda il missionario -, finché mi sono fatto coraggio e sono andato a dire che dovevano smetterla». Anche per questo lo hanno soprannominato “l’uomo che piega i fucili”. Lui stesso, però, ha rischiato grosso. «Nell’ottobre di quello stesso anno – rievoca – hanno sparato alla mia macchina mentre cercavo di uscire da Bangui. A quel tempo era quasi impossibile lasciare la capitale…».
Respinti i miliziani della Seleka, è stata la volta degli anti balaka, gruppi di autodifesa, che si sono resi responsabili, pure loro, di attacchi, violenze e vendette. «A quel tempo abbiamo avuto moltissimi sfollati, gente che fuggiva dalle proprie case e che cercava rifugio nelle strutture della Chiesa, le uniche ritenute sicure e affidabili. Qui da noi abbiamo accolto dalle quattro alle cinquemila persone, che sono rimaste almeno un mese e mezzo, sino al 18 gennaio 2014».
Qualche giorno prima, il 13 gennaio, i miliziani della Seleka avevano lasciato la città, senza troppo spargimento di sangue. «Bozoum – ricorda padre Aurelio –
è stata la prima città a essere liberata. Poi, però, è cominciato un periodo di grande instabilità, che non è ancora finito».
La presenza di una piccola base della Minusca, la missione Onu per il Centrafrica, e di rappresentanti delle forze dell’ordine non basta a garantire la sicurezza. I militari delle Nazioni Unite chiudono volentieri un occhio, mentre i soldati locali, nella migliore delle ipotesi, non sono neppure attrezzati. Nel frattempo, sono comparsi nuovi gruppi ribelli, come il cosiddetto “3R” (“Retour, réclamation et réhabilitation”, “Ritorno, rivendicazione, riabilitazione”). Hanno sequestrato e picchiato anche un cappuccino e nel 2017 hanno attaccato in un paio di occasioni la città di Bocaranga dove sono presenti le suore di santa Giovanna Antida Thouret, tra cui suor Elena Berini, recentemente riconosciuta dal Dipartimento di Stato americano come “donna coraggio” (Mondo e Missione, giugno-luglio 2018, pp. 12-15).
Ecco di nuovo la parola coraggio. Padre Aurelio, come pure suor Elena e molti altri che sono rimasti lì, non sembrano darvi troppa importanza. Per lo meno quando sono chiamati in causa personalmente. Ma sanno benissimo quanto sia fondamentale il ruolo della Chiesa in questa situazione di crisi.
«È tutto in ebollizione – conferma padre Aurelio – e la Chiesa è l’unica istituzione davvero presente nel Paese, anche nelle zone più remote e pericolose. Durante i periodi più difficili, ha offerto accoglienza a tutti, è stata un punto di riferimento fondamentale».
«A Bozoum, in particolare – continua il carmelitano – avevamo creato un Comitato di mediazione per cercare di dialogare. Ora è diventato il Comitato dei saggi, che si ritrova nella “Maison de la paix”, la Casa della pace: serve a dirimere questioni e controversie e a evitare la giustizia sommaria. Ne fanno parte un pastore protestante, il cancelliere del tribunale cattolico e altri volontari. Con tutti loro, vorremmo ora creare una radio comunitaria».
Insomma, anche i nuovi progetti non mancano, anzi. Così come la tenacia di portare avanti quelli già avviati. Oltre alla chiesa di Bozoum, la parrocchia “copre” una quarantina di villaggi in cui sono presenti numerose cappelle e scuolette. Con padre Aurelio ci sono altri due confratelli e tre suore congolesi delle Figlie della Misericordia di Savona.
A Bozoum, i carmelitani gestiscono una grande scuola che va dalla materna al liceo, con 150 bambini all’asilo, 950 alle elementari e 270 tra medie e liceo. Le scuole dei villaggi – una ventina in tutto – sono frequentate da circa 2.500 bambini e la missione si fa carico anche degli stipendi degli insegnanti. Inoltre, a Bozoum c’è un centro diurno per orfani con circa 200 bambini.
«In questi anni, abbiamo avviato il progetto “Apprendre en jouant”, imparare giocando, per le prime classi delle elementari – spiega il missionario -: abbiamo cioè introdotto la lingua sango e un metodo di apprendimento più partecipativo. Sta funzionando molto bene, al punto che anche lo Stato è interessato a introdurre questa esperienza nelle scuole pubbliche». Oltre all’istruzione, l’altro fronte su cui padre Aurelio è impegnato in prima linea è quello dell’agricoltura. Del resto, è proprio dalla terra che la maggioranza della popolazione trae i propri mezzi di sussistenza. L’idea, però, è proprio quella di andare un poco più in là della mera sopravvivenza. «A Bozoum – ricostruisce padre Aurelio – esisteva già un’esperienza di piccole cooperative e di formazione tecnica e gestionale. Da lì ci è venuta l’idea di creare una grande Fiera agricola che aiutasse i contadini a presentare, scambiare e vendere i prodotti. Dal 2004 a oggi, questa esperienza è cresciuta sempre di più, nonostante le difficoltà legate alla crisi, e quest’anno si è arrivati addirittura a circa 90 mila euro di vendite». Si tratta di una cifra enorme in un Paese dove il reddito medio pro capite si attesta attorno ai 330 euro annui. Ed è enorme anche il numero di partecipanti, più di 16 mila persone, divise in 530 gruppi sparsi in tutta la regione.
Ma la Fiera non ha solo un valore economico. «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace», ricorda padre Aurelio, citando Paolo VI. Perché la Fiera agricola è anche un laboratorio di pace, di speranza. E di legalità. Un segno contro la corruzione e l’impunità dilaganti. «Lo sfruttamento delle enormi ricchezze del Paese avviene in maniera opaca – conferma il missionario -. E anche le risorse in termini di terra e acqua sono gestite secondo un sistema consolidato di sfruttamento e corruzione. Per non parlare del business dei barrage, ovvero dei posti di blocco: chiunque abbia un’arma, ne approfitta per taglieggiare chi passa. Ne sono stati recensiti 284 in tutto il Paese, alcuni dello Stato, ma la maggior parte presidiati da gruppi vari. Si stima un giro d’affari attorno ai 6 milioni di euro all’anno!».
Ecco perché la Fiera agricola, così come tutto il sistema capillare dell’istruzione – oltre a interventi specifici in campo sanitario, soprattutto per la prevenzione e la cura dell’Aids – fanno della missione di Bozoum un baluardo di resistenza, sviluppo e umanità. Un segno importante per tutta la Repubblica Centrafricana. E che dà coraggio.