Tre “fidei donum” milanesi hanno cominciato da alcuni mesi una nuova presenza a Cuba, in un contesto per molti versi di prima evangelizzazione, caratterizzato dalla realtà delle “casa mision”
La jeep americana, anno 1952, procede cauta lungo i morbidi pendii della Sierra Maestra. È appena finito di piovere, la foresta è rigogliosa, le piste appena praticabili. Don Adriano Valagussa, 68 anni pieni di entusiasmo, guida una piccola “spedizione”, composta dall’autista e da due catechisti – un ragazzo e una donna – nel villaggio di La Aduana. C’è una piccola comunità ad attenderlo, in gran parte bambini, qualche donna, un’anziana, un paio di adolescenti, nessun uomo. Arrivano alla spicciolata e si sistemano come possono dentro una casupola che è poco più di una capanna: qualche panca, un tavolino, l’immancabile sedia a dondolo, pochi utensili nell’adiacente cucina. Alle pareti l’inevitabile immagine di Fidel Castro e quella della Vergine del Cobre. Entrambi, Fìdel e la Vergine patrona di Cuba, sono di qui. Fidel è figlio di questa Sierra da cui è partita la rivoluzione che ha segnato la storia di Cuba negli ultimi sessant’anni. La Vergine viene celebrata in un santuario frequentatissimo, costruito a fine Seicento a pochi chilometri da qui, sulla strada che conduce verso Santiago, in una zona mineraria ricca di rame (“cobre”, appunto, in spagnolo).
Rivoluzione e cristianesimo continuano a convivere a Cuba, tra molte contraddizioni e limitazioni. Anche nell’era post Castro. Perché è vero che Raul ha lasciato lo scorso 19 aprile la presidenza a Miguel Diaz-Canel, ma continua a controllare ciò che conta veramente: ovvero il Partito e l’esercito. In questo Paese – stretto tra il peso del passato e la morsa sempre più soffocante dell’embargo statunitense – si stanno inserendo discretamente tre fidei donum milanesi: don Adriano Valagussa, appunto, originario di Verderio Inferiore (Lc), decano dal punto di vista anagrafico, ma alla sua prima esperienza di missione; don Marco Pavan, 44 anni di Bollate, pure lui neofita della missione; e don Ezio Borsani, di Rho, che invece ha alle spalle lunghi anni in Camerun, Perù e Brasile. È stato un “pioniere” in questi tre Paesi, così come ora lo è a Cuba. Perché le missioni di Palma Soriano e di Contramaestre rappresentano due esperienze nuove di zecca per i preti ambrosiani che sono arrivati qui lo scorso novembre e che stanno muovendo ancora i primi passi in un contesto molto distante – non solo geograficamente – da quello della grande, strutturata ed efficiente diocesi ambrosiana.
È vero, anche a Cuba non mancano le grandi cattedrali come quella dell’Avana o come quella di Santiago, la diocesi in cui sono inseriti. Edifici imponenti, con le loro architetture barocche, a testimonianza di una storia antica, segnata da quattrocento anni di dominazione coloniale spagnola. Ma è soprattutto la dimensione delle piccole comunità quella in cui sono chiamati a operare i missionari milanesi. Perché il futuro della Chiesa di Cuba è fatto anche e soprattutto di casa mision, ovvero cristianesimo formato-famiglia.
«L’esperienza più bella – racconta don Adriano – è proprio quella di andare “al campo”, ovvero in mezzo ai contadini, nelle zone rurali. Noi siamo abituati a chiamare la gente in parrocchia, qui invece siamo noi che dobbiamo uscire, incontrare le persone, portare il Vangelo. Senza dare nulla per scontato».
Don Adriano spiega ai bambini che è venuto a celebrare la Messa. «Ma – chiede – che cos’è la Messa?». Sguardi spiazzati e interrogativi. Con il suo spagnolo ancora un po’ “creativo”, don Adriano spiega il senso di quella celebrazione. «È tutto molto più semplice – commenta in seguito -; si è costretti ad andare all’essenziale».
Il che non significa che non ci sia del lavoro da fare, tutt’altro. Palma Soriano è una città di circa 130 mila abitanti, dove i cattolici sono poche centinaia. Organizzati, appunto, in piccole comunità, che si ritrovano nelle casa mision e la domenica nella chiesa un po’ decrepita affidata a don Adriano e don Marco. «Ne abbiamo 13 in città e 16 fuori, che riusciamo a raggiungere per la Messa circa una volta al mese», precisa don Marco, che il 4 novembre 2016 in Duomo, quando il cardinale Angelo Scola annuncia l’apertura di una nuova presenza a Cuba, pensa immediatamente: «Questo è per me!». Una vocazione nella vocazione che si è realizzata in un luogo e in un contesto al di fuori di qualsiasi “schema” missionario tradizionale. Anche don Marco sta “prendendo le misure” di questa nuova esperienza: «C’è tutto da imparare! – ammette -. È una bella scommessa, non si rischia di cadere nella routine».
Racconta dei giovani che non sono molti e che vanno motivati, dei catecumeni che sono una ventina e dei ragazzini del doposcuola tra i quaranta e i cinquanta: «Vorremmo allargare questo servizio, ma non è facile perché spostarsi è un vero problema per la gente».
In effetti, al di fuori della strada principale dove circolano poche macchine, spesso d’epoca, gran parte del trasporto viene tuttora fatto con carretti trainati da cavalli. È uno dei segni più evidenti – ma non il solo – di una povertà grande e diffusa. Per gli anziani, poi, è davvero difficile riuscire a sopravvivere. Molti di loro hanno una pensione che va dai 100 ai 200 pesos al mese, ovvero 4-8 euro. «Per questo abbiamo aperto una mensa – afferma don Marco – dove ogni giorno serviamo una ventina di pasti. Ma le necessità sarebbero molto più grandi».
A poca distanza, abitano tre suore ugandesi, «bravissime nelle relazioni», dice don Marco. Insieme a un diacono – uno dei 20 presenti nel Paese, mentre i sacerdoti sono circa 300 – si fanno carico delle attività di questa parrocchia tanto vasta e complessa, dove però la fede si anima soprattutto attraverso rapporti di vicinanza.
A mezzora di strada, nella città di Contramaestre, don Ezio porta avanti da solo un lavoro grande e non molto dissimile. Alle spalle ha una lunga esperienza di missione. «Dall’87 al ’94 – ricorda – sono stato in Camerun, dove abbiamo aperto la prima presenza di fidei donum ambrosiani nel Nord del Paese. Poi, dopo due anni a Nova Milanese, sono partito per l’America Latina: destinazione Perù. Sono rimasto 11 anni in una parrocchia sulle Ande a 3.400 metri di altezza. Quindi Brasile, in un settore che ho avviato a diventare parrocchia».
Insomma, don Ezio è uno che non si lascia impressionare dalle sfide e dalle novità. E ha dato la sua disponibilità per ricominciare da capo nel profondo oriente di Cuba. Contramaestre è una città di oltre centomila abitanti, con una sola chiesa nella zona urbana e nessuna in quella rurale. «I cattolici sono pochi e anziani – ci dice -, i giovani sono quasi inesistenti. Tra i quaranta-cinquantenni c’è praticamente il vuoto. Siamo in un contesto di primissima evangelizzazione».
Anche lui ha avviato il doposcuola, visite ad anziani e ammalati, incontri personali… «Abbiamo già creato alcune casa mision – continua – con piccoli gruppi di una decina di persone, a cui cerco di garantire la celebrazione della Parola».
Non solo, però. «La nostra presenza qui – tiene a precisare don Ezio –
è significativa sia per la Chiesa di Cuba, che ha una grave carenza di preti, ma anche per quella ambrosiana. In questo senso, la visita dell’arcivescovo Mario Delpini lo scorso aprile è stata un segno importante: ci ha dato coraggio ed entusiasmo per la nostra missione, ma ha detto anche che Milano è aperta al mondo in una relazione di reciprocità, di dare e ricevere. La nostra missione è una ricchezza anche per la nostra diocesi di origine».
Ne è convinto anche il vescovo locale, mons. Dionisio Garcia, che tiene molto a questo legame con Milano, ma anche al fatto che i tre fidei donum ambrosiani si sentano veramente parte integrante della Chiesa locale. «Mons. Delpini – ricorda l’arcivescovo di Santiago – ha potuto constatare di persona tanto le necessità che abbiamo quanto il gran lavoro che i preti milanesi stanno già facendo. Don Ezio, don Marco e don Adriano sono persone valide e si sono inserite molto bene in diocesi, anche perché, appena arrivati, hanno vissuto qualche tempo in episcopio, condividendo casa, pasti e lavoro, e soprattutto viaggiando con me per poter conoscere l’intera diocesi affinché non si chiudano nella parrocchia a loro affidata, ma siano aperti alle realtà della Chiesa locale».