Sarà inaugurata il 17 e 18 settembre la mostra “170 anni di Missione e Cultura”: grandi figure che, insieme all’annuncio, misero al centro arte e conoscenza
Fotografi, linguisti, cartografi, ma anche musicisti, pittori e appassionati delle tradizioni umane e del mondo animale. Se è vero che la storia del Pime si caratterizza per la pluralità dei carismi e delle esperienze da sempre espressi al suo interno, resta sorprendente scoprire le vicende di alcuni missionari i cui talenti nel campo scientifico e umanistico hanno offerto un contributo speciale, oltreché naturalmente all’evangelizzazione, anche ai settori più diversi del sapere.
È la convinzione che ha dato le mosse alla mostra “170 anni di Missione e Cultura”, che l’Ufficio Beni culturali del Pime ha realizzato nel contesto del biennio dedicato dalla Direzione generale all’importante tappa festeggiata dall’Istituto e che sarà inaugurata nel corso del Congressino missionario in programma a Milano sabato 17 e domenica 18 settembre. «Si tratta di una lunga storia che si è voluta raccontare mettendo in risalto aspetti meno noti dell’attività del Pime», spiega padre Massimo Casaro, che guida l’Ufficio Beni culturali. «Abbiamo scelto personaggi un po’ “fuori dal coro”, perché hanno sviluppato un modo tutto loro di entrare in relazione con l’altro e con le cose; uomini che hanno arricchito la storia dell’Istituto e della Chiesa, ma anche dell’umanità, di contributi importanti».
Ecco allora scorrere sui pannelli della mostra – e tra le pagine del sussidio storico pubblicato in concomitanza – i volti e le vicende di figure come padre Paolo Reina (1825-1861), superiore della missione pioniera in Papua Nuova Guinea, la cui approfondita relazione antropologica sui costumi degli abitanti dell’isola di Rook fu pubblicata integralmente nel 1858 sulla Zeitschrift für allgemeine Erdkunde, Rivista per la Geografia Generale di Berlino. O come padre Raffaello Maglioni (1891-1953), che grazie agli scavi archeologici condotti negli Anni 30 e 40 nel distretto di Hoifung, entroterra di Hong Kong, permise di ipotizzare scambi tra le popolazioni arcaiche costiere locali e quelle del Guangdong e del Sud-Est asiatico, e fu il primo studioso ad applicare la datazione al Carbonio14 su reperti cinesi: la sua “Collezione archeologica” è oggi una delle più importanti del Museo di Storia di Hong Kong.
Nella Cina continentale operò invece il bergamasco padre Leone Nani (1880-1935), che all’inizio del Novecento, per dieci anni, durante la sua missione evangelizzatrice nel Vicariato apostolico dello Shaanxi documentò, attraverso centinaia di straordinarie fotografie molte delle quali pubblicate sulle riviste del tempo, la quotidianità di luoghi e popoli allora sconosciuti ai più. Del suo lavoro di documentazione di «quella vita indigena, degna da riprodursi da un de’ nostri cinematografi» (come scriveva) rimane traccia in più di 600 lastre.
Tra i protagonisti presentati dalla mostra figurano anche artisti. Ci sono il polistrumentista padre Leopoldo Pastori (1939-1996), che in Guinea-Bissau si dedicò con entusiasmo all’animazione giovanile attraverso il canto e la musica, studiando anche gli strumenti etnici come la korà e componendo inni religiosi in creolo-portoghese, e padre Fulvio Giuliano (1939-2007), il cui talento per la pittura lo accompagnò in tutta la sua opera missionaria in Brasile. Perito edile, padre Giuliano riempiva di immagini le pareti delle chiese e degli edifici che costruiva, per raccontare al popolo la presenza di Dio, finché l’incontro con l’iconografia russo-bizantina gli rivelò un nuovo linguaggio artistico e le icone divennero la sua produzione esclusiva: molte arricchiscono le chiese e le case del Pime in Italia e nel mondo.
Facendo di nuovo un passo indietro, troviamo altre personalità straordinarie. Tra le più note c’è padre Simeone Volonteri (1831-1904), il “cartografo della Cina”, che realizzò diverse mappe tra cui quella del distretto di Sun-On (provincia di Kwangtung), la prima relativa a quei territori, usata nel 1898 dai funzionari britannici per delimitare i confini della colonia di Hong Kong. Fu invece missionario in Birmania (attuale Myanmar) padre Goffredo Conti (1846-1912), che completò la codificazione attraverso l’alfabeto latino dell’idioma del popolo karen, producendo testi sia per la catechesi sia per l’insegnamento della lingua scritta ai ragazzi.
Particolarmente insolita, infine, la passione di padre Carlo Brivio, che dopo lo studio della Teologia dogmatica si laureò in Scienze naturali. Specializzatosi nello studio dei coleotteri (tanto che alcuni, da lui scoperti, portano il suo nome), realizzò ricchissime collezioni entomologiche, acquistate anche da università italiane e straniere, o donate a istituzioni scientifiche, tra cui il Museo di Scienze naturali di Milano. «Sensibilità e genialità diverse – commenta padre Casaro – ma accomunate dalla stessa passione. Missionari che sono stati nel medesimo tempo uomini di fede, autentici evangelizzatori e uomini di cultura». MM