Due libri usciti di recente offrono chiavi di lettura importanti per guardare con gli occhi del popolo di Israele al dramma che si sta consumando in Medio Oriente
Mai quanto in questi ultimi mesi nel dibattito pubblico si è parlato di sionismo e antisemitismo. Trascinati dall’orrore per i tragici eventi che il Medio Oriente sta vivendo, si corre però il rischio di non vedere tutti i fili da cui si dipanano le contraddizioni che la guerra ha portato allo scoperto. Problemi che attengono certamente alle vicende politiche del Novecento, con la ferita della questione palestinese rimasta colpevolmente irrisolta. Ma che non può essere separata da uno sguardo senza pregiudizi su Israele e su ciò che rappresenta per il mondo ebraico.
Da questo punto di vista, risultano preziosi due libri pensati prima del 7 ottobre 2023 ma arrivati in libreria proprio nel contesto della guerra di Gaza. Il primo è “Storia culturale degli ebrei” (pp. 336, euro 26) che due studiosi come Piero Stefani, cristiano e presidente dell’associazione culturale Biblia, e Davide Assael, filosofo ebreo e presidente dell’Associazione Lech Lechà, hanno pubblicato insieme per l’editrice Il Mulino.
Il volume è un lungo e intrigante viaggio attraverso i secoli, a partire dall’idea che la cultura ebraica si può comprendere solo alla luce delle sue relazioni con i popoli e gli ambienti con cui è entrata in contatto. Per scoprire che c’è tanto di non ebraico nelle fonti classiche del giudaismo, così come c’è molto della sua impronta specifica nel dna della cultura occidentale. Ma quella dell’ebraismo è anche la storia di un’identità molto meno monolitica di quanto si pensi, attraversata da tanti conflitti. L’ultimo dei quali è quello apertosi in maniera eclatante il 4 novembre 1995, con l’assassinio di Yizthak Rabin per mano di un estremista cresciuto in un ambiente religioso ebraico che in qualche modo rappresenta ancora oggi una cifra della crisi di Israele.
Da quella sera – sostengono Piero Stefani e Davide Assael – nel mondo ebraico è cominciata «una “guerra civile” strisciante tra una componente laica, legata agli idea li liberali occidentali, e una tradizionalista». Uno scontro che -mettono in guardia i due autori – non è una pura contrapposizione tra laici e religiosi. Anche perché oggi l’ebraismo ortodosso israeliano è composto da almeno cinque gruppi tra loro profondamente diversi. Piero Stefani e Davide
Assael parlano piuttosto di «fratture irrisolte che si è tentato di gestire affidandosi a un perenne status quo, dove ognuno finiva col restare chiuso nel proprio modo di intendere l’identità ebraica, spesso concepita in antitesi ad altre maniere di declinarla». Mentre proprio la nuova tragedia vissuta con l’attacco di Hamas il 7 ottobre – ma anche con le divisioni profonde all’interno della società israeliana – mostra quanto sia essenziale oggi per il mondo ebraico guardarsi allo specchio per trovare una nuova sintesi, aperta all’incontro con l’altro.
Complementare, in questa riflessione, diventa un altro libro, edito sempre da Il Mulino: si intitola “Essere ebrei, oggi. Continuità e trasformazioni di un’identità” (pp. 224, euro 16) ed è un saggio di Sergio Della Pergola, demografo israeliano di origini italiane, considerato uno degli osservatori più attenti di quanto si muove nel mondo ebraico. Furono le sue analisi delle dinamiche demografiche di Israele, per esempio, a convincere l’allora premier Ariel Sharon a procedere nel 2005 al ritiro dalle colonie di Gaza.
In questo suo nuovo libro Della Pergola affronta le domande cruciali su chi siano oggi gli ebrei. Lo fa partendo da una serie di ricerche condotte in anni recenti nelle comunità di Israele, degli Stati Uniti e dei Paesi europei – i tre grandi poli in cui vivono i circa 15,7 milioni di ebrei presenti oggi nel mondo. Prova a tratteggiare in che cosa consista il proprio riconoscersi come tali, perché sia considerata un’esperienza rilevante e come concretamente questa appartenenza venga declinata. A emergere è una fotografia molto più variegata di quanto si pensi. Leggendo i dati citati da Della Pergola, per esempio, non sorprende affatto la distanza nello sguardo su Israele che sta emergendo sempre più chiara tra le giovani generazioni delle comunità ebraiche americane e i loro coetanei cresciuti a Gerusalemme o a Tel Aviv. Ci sono, però, anche interessanti dati trasversali comuni: per esempio l’importanza prevalente che ha assunto la memoria della Shoah nel riconoscersi ebrei; e anche un generale processo di “desecolarizzazione”, che vede oggi crescere il numero di giovani che si identificano come religiosi, anche attraverso gesti visibili come indossare una kippah.
Come Piero Stefani e Davide Assael, anche Della Pergola è convinto che quanto sta accadendo oggi in Medio Oriente sia destinato ad avere ripercussioni profonde per gli ebrei di tutto il mondo: «La critica nei confronti di Israele – scrive – viene percepita dall’enorme maggioranza del pubblico ebraico come una critica destabilizzante alla sua esistenza. È un portato collettivo che si incarna nelle vite individuali». Proprio per questo, però, «la capacità che dimostrerà Israele di volere e potere trovare soluzioni stabili al conflitto, avrà un’influenza decisiva sul destino futuro non solo dello Stato ebraico, ma di tutto l’ebraismo mondiale».