Verranno beatificati il 18 agosto i quattro “martiri di Uvira”: un prete diocesano e tre missionari saveriani italiani uccisi nel 1964 in Repubblica Democratica del Congo
È il primo pomeriggio del 28 novembre 1964, un sabato di guerra come molti altri a Baraka e Fizi nella diocesi di Uvira, nell’Est della Repubblica Democratica del Congo. Una guerra che da diversi mesi imperversa nel Paese, tra l’esercito governativo e le forze che fanno riferimento al politico e rivoluzionario Pierre Mulele. Padre Luigi Carrara, missionario saveriano, è in chiesa a pregare a Baraka dove è arrivato da poco: si è trasferito qui da Fizi per stare accanto a fratel Vittorio Faccin, rimasto solo in missione. Quest’ultimo è affaccendato come sempre: si tratta di costruire il presbiterio, un nuovo ricovero di mattoni per lui e il confratello, sfrattati a causa dei ribelli.
È in questa situazione di calma apparente che il colonnello Masanga, a capo di una truppa di ribelli, irrompe nella missione col suo seguito senza ragionevolezza né giustificazioni, minacciando e quindi togliendo la vita prima a fratel Vittorio inerme fino alla fine, poi a padre Luigi, uscito nel frattempo fuori dalla chiesa con ancora indosso la stola per le confessioni che sta amministrando ad alcune donne. Padre Carrara si inginocchia risoluto di fianco al corpo del confratello appena ucciso, per pregare, e così in orazione viene freddato. Dopo poche ore toccherà a padre Giovanni Didonè e all’abbé Albert Joubert, stavolta a Fizi: stessa dinamica satura di rabbia e orrore, stessa disposizione al martirio.
Di fatto, questi quattro uomini di Dio erano rimasti lì al loro posto nonostante l’arrivo delle truppe “muleliste”, nonostante tutt’attorno europei e religiosi di altre fedi fossero fuggiti, nonostante una serie lunga di avvisaglie (minacce, aggressioni fisiche, depredazioni, incarcerazioni): erano rimasti, ben consapevoli di ciò che rischiavano, senza possibilità di fraintendimento. Ma si trovavano lì per amore di quella che era diventata la loro gente, perché il pastore non lascia il gregge all’arrivo dei lupi, e per amore alla vocazione sposata anni prima. Servire fino alla fine, fosse anche fino alla Croce.
Padre Luigi, 31 anni, era in R.D. Congo da nemmeno due. Fratel Vittorio, 30 anni, e padre Giovanni, 34, erano arrivati insieme dall’Italia quasi cinque anni prima. Tre giovani missionari saveriani con un percorso di fede intenso, tre vocazioni fortemente vissute e abbracciate, così come la missione in Africa, desideratissima. Perciò risulta facile comprendere la vicinanza e l’affetto dimostrati sempre verso le popolazioni di Baraka e Fizi, quest’ultima missione cominciata dal nulla dallo stesso padre Giovanni. Missioni che erano diventate punti nevralgici anche per l’istruzione di giovani e bambini, per la crescita umana di fedeli e no, e per l’aiuto materiale a chiunque chiedesse loro supporto.
Dopo lo sgomento e il pianto iniziali, la perdita dei tre saveriani ha generato nei congolesi locali grande devozione e spirito filiale, con particolare affezione ai loro resti mortali che riposano tutt’ora nelle chiese di Fizi e Baraka. Percorso altrettanto originale è quello dell’abbé Albert, cinquantaseienne sacerdote diocesano congolese, figlio del celebre Léopold-Louis Albert, eroe antischiavista dell’Africa subsahariana di fine Ottocento. Anche per l’abbé si è trattato di una vocazione fatta di grande operosità, aiuto pronto verso le popolazioni in difficoltà, oltre che di un’attenzione particolare verso i giovani di cui è stato insegnante più volte e per lunghi anni durante il suo ministero.
Dunque quattro uomini profondamente appartenenti al popolo a cui hanno donato la vita e che hanno ispirato opere nuove di spiritualità e fedeltà grazie al loro esempio. A testimonianza di ciò, fin dal martirio, l’anniversario della loro morte puntualmente si rivela occasione vivida per celebrare un’Eucaristia molto partecipata: nel corso del tempo, i fedeli hanno riconosciuto e continuano a riconoscere nel sacrificio dei loro martiri l’amore di Dio e la speranza di salvezza in Gesù Cristo. Ma non è tutto. Per circa dieci anni i catecumeni hanno ricevuto il battesimo nel luogo esatto del martirio, diventato più di un simbolo, quasi la conferma del passaggio di testimone: dal sangue dei martiri nascevano nuovi discepoli di Gesù Cristo.
Le manifestazioni di attaccamento alla vita e all’esempio dei martiri provengono anche dal fatto che la popolazione ha continuato a subire guerre e ingiustizie per molto tempo ancora, fino ai primi anni di questo millennio. In queste vicissitudini, altri cristiani hanno dato la vita per amore di Cristo. Tutt’oggi, in contesti talvolta diversi, che si tratti di Nord o Sud Kivu, i cristiani ricordano che, piuttosto di tradire la fede, è meglio accettare la morte e restare fedeli al Vangelo di Gesù.
IL LIBRO: VITA E PENSIERI DEI NUOVI BEATI
“Benedetti ragazzi” è la storia di quattro uomini e delle loro scelte fuori dall’ordinario. Quattro parabole ripercorse singolarmente dagli episodi della fanciullezza fino al compimento comune della vocazione cristiana più grande: dare la vita per i propri amici, per amore a Dio. Sono state vite straordinariamente umili quelle di Vittorio, Luigi, Giovanni e Albert, ma anche vite di uomini felici, che verranno proclamati beati il 18 agosto. Scritto da Lisa Zuccarini (Berica Editrice, pp. 200, euro 14.50), il libro si fonda sulle fonti storiche e i documenti originali custoditi negli archivi saveriani.