Missionaria dell’Immacolata in Algeria, suor Marta Arosio riflette sulla possibilità di un incontro tra fedeli cristiani e musulmani
Da un lato l’esperienza sul campo in Algeria, dall’altro le lezioni presso il Pontificio istituto di studi arabi e islamistica (Pisai) di Roma. Anche nel libro Il dialogo dell’ospitalità (Cittadella editrice, pp. 204, euro 17,50) suor Marta Arosio tiene insieme queste due dimensioni. Quella più speculativa e intellettuale, che l’ha portata ad approfondire e tradurre per la prima volta in una lingua occidentale alcuni estratti del mistico egiziano ‘Abd al-Wahhāb al-Šar’ānī (m. 1565), e quella più concreta, che l’ha spinta a proporre al termine del volume quattro workshop, articolati attorno a tre verbi: conoscere, ascoltare, ospitare.
«L’ospitalità è uno degli aspetti più caratteristici e affascinanti della cultura araba». Riflette suor Marta che, dal 2014 al 2018, ha vissuto in un contesto come quello algerino dove, pur non mancando problemi e pregiudizi, l’accoglienza dell’ospite, a maggior ragione se straniero, resta qualcosa di sacro. E più ci si sposta verso il deserto, più è vissuta con straordinaria e commovente disponibilità. «In un contesto desertico, dove la vita è esposta a moltissimi pericoli – fa notare suor Marta, che è tornata recentemente ad Algeri – l’ospitalità ricevuta costituisce una necessità vitale e, per colui che la offre, un dovere imprescindibile. Anche nei confronti di un nemico».
«Ancora oggi – ne è consapevole suor Marta – è il luogo dove compiere il primo passo verso l’amicizia e la fratellanza umana». Ne erano convinti anche grandi figure come Louis Massignon, orientalista francese, che proprio «nell’ospitalità ricevuta gratuitamente e inaspettatamente da alcuni musulmani, ha ritrovato la ragione di una profonda fede cristiana in ascolto dell’altro e dell’Altro». Del resto, il senso di accoglienza e la gioia della visita reciproca affondano le radici in una storia antica e preislamica che, attraverso la rivelazione del Corano, ha assunto nuove accezioni, che associano, ad esempio, l’ospitalità a un atto di vera pietà. È quanto emerge anche dai testi del mistico egiziano tradotto da suor Marta, in cui si sottolineano in particolare i doveri di visitare i fratelli e gli uomini virtuosi e di ricevere l’ospite e di onorarlo. «L’ospitalità e la visita – fa notare – non sono solo lo spazio della convivialità, dove esercitare la sollecitudine e l’accoglienza pratica fatta di offerta e scambio, ma sono prima di tutto sede in cui le virtù esplicitate dagli atti esprimono la risposta riconoscente del credente alla generosità di Dio».
Ecco di nuovo l’Altro e gli altri. Una dimensione e una tensione che fanno parte del quotidiano di suor Marta, che ha dedicato il suo libro a K., «sorella di fede diversa». «Un giorno – ricorda -, alla vigilia del suo matrimonio, quando non sapevamo se ci saremmo riviste, lei mi ha detto: “Tu sai che siamo sorelle. Ma sai anche che non potremo esserlo nella religione”. L’esperienza che ho fatto con lei era proprio quella dell’ospitalità. È l’esperienza di cui parla anche Christian de Chergé, il priore di Tibhirine rapito e ucciso insieme agli altri sei confratelli nel 1996, ovvero quella della Visitazione che è anche l’icona in cui si identifica l’intera Chiesa d’Algeria. Lei non mi ha mai chiesto di convertirmi e io non le ho mai parlato esplicitamente di Gesù o del Vangelo. Ma quella frase ha suscitato in me una domanda che mi è rimasta dentro».