Papua Nuova Guinea, paradiso minacciato

Papua Nuova Guinea, paradiso minacciato

È una terra particolarmente cara al Pime e nel cuore di Papa Francesco, che è atteso in settembre a Port Moresby e Vanimo. Ma quale Paese lo aspetta? Natura incontaminata e popoli antichissimi sono oggi minacciati da cambiamenti climatici, sfruttamento e corruzione

Il mondo alle origini. Natura imponente e incontaminata, una straordinaria varietà di popoli e culture, oltre 800 lingue parlate. La Papua Nuova Guinea (PNG) che Papa Francesco visiterà dal 6 al 9 settembre – nel viaggio apostolico che lo porterà anche in Indonesia, Timor Est e Singapore – è, a prima vista, una terra di bellezza primigenia: un paradiso la dipingono i pochi poster per i rarissimi turisti. Ed effettivamente lo è. Ma tanto superba è la sua bellezza tanto estremi sono i suoi abissi. Il senso di spaesamento è sempre in agguato.

Quest’isola all’altro capo del pianeta – anzi, quest’insieme di circa 600 isole sparse nel Pacifico a ridosso dall’Indonesia e a un braccio di mare dall’Australia, da cui è diventata indipendente nel 1975 – è davvero un altro mondo. Un mondo in cui le dimensioni spazio-temporali sovvertono le comode categorie di pensiero occidentali. Questo scrigno di straordinaria biodiversità – è la terza foresta tropicale al mondo – custodisce anche una diversità umana stupefacente, con una varietà di popolazioni antichissime che hanno mantenuto, nell’isolamento delle isole o delle montagne, caratteristiche peculiari e uniche, non solo linguistiche. Contesti lontanissimi eppure così vicini ad altre realtà, come quelle delle città lungo la costa e in particolare la capitale Port Moresby che è, a tutti gli effetti, una città moderna, connessa, aperta al resto del mondo. Contrasti e contraddizioni si impongono come un’evidenza.

«Racconta cose belle della Papua Nuova Guinea!», ci invitano a fare le persone da un capo all’altro del Paese, riservando all’ospite una straordinaria accoglienza, spesso con abiti, canti e danze tradizionali, i volti dipinti e le lance dispiegate a simboleggiare la tradizione guerriera. L’ospite, del resto, è sacro, anche quando non si ha niente. E molti non hanno davvero nulla. Più dell’80% della popolazione vive in zone rurali remote e si affida a un’economia di sussistenza per sopravvivere in simbiosi con la natura, che è madre ma anche matrigna. La mancanza di strade e di mezzi di comunicazione rende impossibile o estremamente difficile qualsiasi commercio. Si vive alla giornata, spesso all’istante: ritmi ancestrali, baratto, stregoneria, senso di appartenenza al clan, al capo, alla terra. Che non di rado è anche motivo di conflitto.

La Papua Nuova Guinea è un Paese ricchissimo e poverissimo. Ricchissimo di materie prime – legname, oro, argento, rame, gas, minerali preziosi… -, ma anche il più povero dell’Oceania. «Le compagnie straniere fanno quello che vogliono», denuncia Mavis Tito, direttrice della Caritas nazionale, un osservatorio privilegiato su tante situazioni difficili del Paese, ma anche un attore importante di assistenza nelle emergenze e di sviluppo. Sfruttamento, disboscamento, inquinamento della terra e dei fiumi, land grabbing, piantagioni sterminate e intensive di palme da olio: sono molte e molto potenti le compagnie straniere che operano in PNG, in particolare malesi, canadesi, australiane, cinesi…  «Sono incuranti dell’ambiente e delle popolazioni che ci vivono e che spesso non vi traggono alcun vantaggio, ma anzi si ritrovano con il loro territorio deturpato – conferma il cardinale John Ribat, arcivescovo di Port Moresby, molto sensibile ai temi della Laudato si’ -. Qualche anno fa è stato sventato il tentativo di un’impresa canadese di avviare un progetto di seabed mining, una miniera a 1.600 metri di profondità sul fondo del mare, ma pare che siano in corso ulteriori negoziazioni per mettere in atto un progetto-pilota, di cui nessuno è in grado di valutare con certezza le conseguenze».

La Papua Nuova Guinea, del resto, è un Paese fragilissimo: «I cambiamenti climatici stanno avendo un impatto devastante, aggravato dallo sfruttamento indiscriminato – continua la direttrice di Caritas -. Molte isole coralline rischiano di scomparire. Alcune popolazioni sono già state costrette a lasciare i loro villaggi, ma non è facile ricollocarle altrove a causa della gestione tradizionale della terra, che appartiene in maniera consuetudinaria a una famiglia o un clan». Lungo le coste non è raro vedere l’effetto dell’erosione provocata dal mare, e in tutto il Paese si ripetono in maniera sempre più frequente fenomeni climatici estremi, come tifoni, alluvioni, siccità o addirittura gelate sulle montagne, che alcuni mesi fa hanno distrutto i pochi raccolti. Anche diverse missioni che si affacciano sull’oceano, in luoghi apparentemente paradisiaci, stanno cercando di correre ai ripari costruendo barriere, che appaiono inesorabilmente temporanee.

Ma altrettanto inefficaci sembrano le misure prese dal governo per far fronte alle molte sfide epocali con cui si confronta il Paese. «C’è troppa corruzione – hanno ripetutamente stigmatizzato i vescovi del Paese-: una corruzione sistematica e sistemica». Per non parlare dei fondi che vengono allocati nel bilancio dello Stato, ma non arrivano mai a destinazione. La Chiesa cattolica, che rappresenta circa il 26% della popolazione, sa bene di cosa si tratta: fondi per l’educazione e per la sanità che esistono solo sulla carta, medicine che non vengono consegnate per mesi, stipendi non pagatiregolarmente, strutture non manutenute. Ancora oggi circa il 25% delle scuole e dei centri sanitari, specialmente nelle aree più remote, sono gestiti dalla Chiesa, con grandi difficoltà, pochi insegnanti, coraggiosi infermieri e nessun medico. «Occorre più formazione a tutti i livelli – evidenzia il cardinale Ribat – specialmente dei giovani per garantire loro un futuro. E per garantirlo al nostro Paese».

La Papua Nuova Guinea, in effetti, è un Paese estremamente giovane: il 40% della popolazione ha meno di 15 anni. Ma anche questa è una ricchezza tradita. Il tasso di disoccupazione è altissimo. Anche quelli che riescono a raggiungere un buon livello di istruzione – una piccolissima minoranza, a causa di un sistema scolastico fortemente selettivo – non trovano facilmente lavoro se non nel settore informale. Molti si riversano nelle città, e in particolare nella capitale, in cerca di opportunità che non trovano. Spesso vivono in maniera del tutto precaria nei cosiddetti settlement, insediamenti illegali, sempre a rischio di sgombero. In questi ultimi anni, sono cresciute anche le tensioni sociali e la criminalità, sfociate lo scorso 10 gennaio in violente proteste, saccheggi e distruzioni mai visti prima a Port Moresby, che attualmente è considerata una delle città più pericolose al mondo.

Anche nella parrocchia del Pime nel quartiere di Tokarara, sono ancora ben evidenti i segni dei colpi d’ascia assestati accanto alla porta da criminali che hanno fatto irruzione e derubato la casa del parroco. È in aumento anche il fenomeno degli street children – bambini e ragazzi di strada – figli di famiglie disgregate o in difficoltà, che spesso non vanno a scuola e vagano nelle strade. Il Papa ne incontrerà un gruppo che viene seguito in due centri di accoglienza dall’arcidiocesi di Port Moresby.

Siamo un Paese giovane e una Chiesa giovane, anche di fondazione – fa notare l’arcivescovo di Rabaul, Rocus Tatamai -: una Chiesa vibrante che si affida molto ai laici e che sta maturando vocazioni locali. Ma che ha ancora tanto bisogno di formazione, a tutti i livelli, pure nella fede per farla scendere più in profondità. Siamo una delle ultime frontiere, ma siamo anche parte della Chiesa universale, e la visita di Papa Francesco ce lo conferma. Ci sforziamo di mettere al centro della nostra vita di fede la misericordia e la cura per la dignità umana. Con un forte senso di comunità».

 

IL VIAGGIO DEL PAPA

«C’è grande attesa, ma anche un grande lavoro di preparazione innanzitutto nella preghiera, per la visita del Papa, che ancora una volta mostra attenzione e cura per il nostro Paese», dice monsignor Rozario Menezes, vescovo di Lae e coordinatore del comitato organizzatore del viaggio in PNG dal 6 al 9 settembre. Nei giorni precedenti, dal 3 al 6, il Pontefice farà tappa a Giacarta in Indonesia. Il viaggio proseguirà a Dili (Timor Est) dal 9 all’11, e a Singapore dall’11 al 13.