Claudia Albertina Ruiz Sàntis, chef messicana originaria del Chiapas attesa al Salone del Gusto di Torino, a 14 anni ha sfidato la tradizione indios prevista per le donne. Oggi recupera quelle origini con un ristorante che serve solo ricette indigene, cucinate con prodotti a chilometro zero
Croce e delizia. Nella vita di Claudia Albertina Ruiz Sàntis, chef messicana originaria di San Juan Chamula nello stato del Chiapas, la tradizione degli indios dell’altopiano è stato il motivo per scappare e allo stesso tempo l’occasione per ritornare a casa.
La sua storia – che racconterà lei stessa oggi al Salone del Gusto di Torino – ha a che fare con la cucina ma soprattutto con la tradizione. Fin dall’inizio, infatti, Claudia ha deciso di sfidare i costumi della sua comunità indigena che limita le potenzialità delle ragazze, relegandole a mogli e casalinghe. «Quando finisci la scuola – mi dicevano – se la finirai, ti sposerai. Mio nonno nascose le sue figlie nelle pentole pur di non farle trovare dagli insegnanti che venivano a controllare se ci fossero donne in età scolare». A 14 anni, invece, Claudia si è rifiutata di sposarsi e si è iscritta all’Università del Chiapas nella facoltà di Scienze e arti.
Una scelta «ribelle» come la definisce spesso l’interessata che però è solo un tassello del controverso rapporto di Santis con le proprie origini. La prima cosa che la donna fa mentre sta terminando gli studi, è trovare un modo per far conoscere al Paese i piatti della tradizione indigena del Chiapas, ignorati dalle portate della stragrande maggioranza dei ristoranti messicani. Dovendo scegliere il lavoro di tesi, Claudia finisce a scrivere un manuale di ricette in due lingue, spagnolo e tzotzil, lingua madre degli indios.
Proprio il suo libro la fa incontrare con Enrique Olivera, chef del rinomato ristorante Pujol di Città del Messico, che la invita a far parte della sua squadra. A meno da una settimana dalla laurea, l’aspirante cuoca è già al lavoro nella capitale. Qui Claudia si fa le ossa, ma anche nell’ambiente gastronomico trova discriminazioni legate al suo essere donna e per di più indigena. «In quel periodo, la rettitudine nel lavoro era la forma più coraggiosa della mia lotta» spiega Claudia, che decide di tornare a San Cristobal de las Casas e di aprire – nel luglio 2016 – un ristorante tutto suo che chiama Kokonò, parola tzotzil per indicare la pianta di tè nativa dell’epazote.
L’obbiettivo è far conoscere e salvare la cucina tradizionale delle popolazioni indigene del Chiapas attraverso una proposta gastronomica regionale. Lo chef, infatti, compra le materie prima per le sue ricette solo da piccoli produttori locali e usa esclusivamente cibi stagionali come suggerisce la filosofia di Slow Food, rete alla quale Claudia ha aderito come membro dell’Alleanza dei cuochi.
«Gli chef messicani non cucinano con ingredienti usati dalla popolazione indigena. Stiamo dimenticando la cucina messicana e chiapaneca, perché abbiamo a disposizione cibo da altre parti del mondo. Caffè, cacao e formaggio possono rappresentare il Chiapas, ma non c’è motivo di limitarci a questi prodotti». A due anni dall’apertura, l’idea di Kokonò e della sua fondatrice sembra avere successo come suggeriscono le decine di recensioni da cinque stelle sulla pagina Tripadvisor del locale. «Contro le discriminazioni – dice – lascerò sempre parlare il mio lavoro».