Lo chiamavano “El Caminante”, per la sua indomita disponibilità a scarpinare per raggiungere tutte e ciascuna delle persone che gli erano affidate. Samuel Ruiz Garcia, vescovo del Chiapas e difensore dei diritti degli indios è ancora oggi una delle figure più amate della Chiesa messicana. In occasione del viaggio del Papa l’Emi ne pubblica la biografia.
Pubblichiamo un estratto della biografia “Il vescovo del Chiapas. Vita di Samuel Ruiz detto Tatic” (Editrice Missionaria Italiana), scritta da Alberto Vitali, sacerdote italiano che lo ha conosciuto da vicino, ne ripercorre la vita e l’impegno sociale, inquadrandoli nella tenace e per lungo tempo silenziosa resistenza degli indios del Chiapas fin dai tempi della conquista.
“Come mi convertirono gli indigeni” è il titolo del libro intervista nel quale don Samuel, un decennio prima di morire, raccontò a Charles Torner il suo lungo e prezioso itinerario spirituale, nel quale colpisce particolarmente la scelta d’un termine tanto forte come «conversione» per descrivere un processo di trasformazione sì radicale, ma per nulla eclatante. Nel caso in questione, infatti, non dobbiamo pensare a un cambiamento di prospettiva radicale e in tempi brevi, come furono, ad esempio, quelli dell’arcivescovo martire di San Salvador (El Salvador), mons. Oscar Arnulfo Romero, o dell’arcivescovo di Recife (Brasile), dom Hélder Câmara, perché don Samuel aveva sempre mostrato una buona apertura culturale e grande sensibilità sociale.
Incontrarsi con il mondo indigeno, però, richiedeva molto di più: era necessario lasciarsi mettere in profonda discussione e avere l’umiltà di re-imparare a guardare la vita da una prospettiva totalmente «altra». Era cioè necessario spogliarsi, almeno in parte, della propria cultura, per rivestirsi di quella dell’«altro» – meglio degli «altri» – essendo pertanto capaci di immaginare e perseguire l’edificazione di una società multietnica e multiculturale. Un esempio e una lezione straordinaria per il mondo globalizzato di oggi… Ed eravamo soltanto agli inizi degli anni Sessanta!
Certo, nulla fu scontato nemmeno per lui; le grandi intuizioni vennero poco alla volta e spesso come frutto di attente e sofferte riflessioni collettive sugli errori commessi, magari nella foga d’una generosità che cedeva alle urgenze: se quindi agli inizi si era proposto d’insegnare il castigliano ai nativi, nel tentativo di affrancarli dalla loro perenne subalternità, con il tempo si convinse piuttosto della necessità di valorizzare le lingue e le culture locali.
Decise pertanto di compiere un’autentica svolta, sia a livello personale che diocesano: a «scuola» andò lui stesso, per imparare i cinque idiomi chiapanechi, mentre affidò ad alcuni collaboratori la traduzione dei sacri testi e delle principali preghiere cristiane. Non senza difficoltà e qualche imprevisto.
Come, infatti, era solito spiegare, le lingue non differiscono soltanto nell’apparato fonetico o grammaticale, ma anche e soprattutto nella rappresentazione della realtà che trasmettono. Espressioni e simboli propri di una lingua possono mancare in un’altra o essere resi nei modi più disparati, finanche con circonlocuzioni di differente lunghezza.
Fu così che traducendo l’Ave Maria scivolarono rovinosamente sulla parola «figlio», detto nichan o alan a seconda che si riferisca al padre o alla madre. Poiché i traduttori conoscevano soltanto la prima forma, la utilizzarono nell’espressione «il figlio del tuo grembo, Gesù», che venne pertanto insegnata alla gente. Quando poi fu scoperto l’errore, don Samuel, perplesso, chiese agli indigeni: «Ma perché non ce lo avete detto?», ricevendo la più disarmante delle risposte: «Tatic, ci avevi detto che questa nascita è un mistero!».
Mistero più grande, però, è la vita che da secoli pulsa sulle montagne del sud-est messicano: che scorre nella linfa dei suoi alberi; nell’acqua (un tempo cristallina, ora inquinata dall’esercito e dalle compagnie minerarie) dei suoi fi umi e nel sangue degli antichi e moderni maya.
Mistero è quel profondo senso del sacro che fa percepire ai nativi la presenza del divino in ogni manifestazione della natura e quell’indomito anelito di libertà capace di eclissarsi per secoli, per poi riapparire imprevisto nella lotta degli zapatisti o nella resistenza nonviolenta della comunità Las Abejas.
Soltanto chi aveva camminato per anni con loro avrebbe potuto farsene interprete. Per questo, volenti o nolenti, all’indomani del 1° gennaio 1994 furono tutti concordi nel riconoscere la figura di don Samuel quale unica possibilità di tentare una mediazione tra l’Ezln e il governo messicano.
Per farlo, era infatti necessario conoscerli, ma anche essere conosciuti e stimati dai diretti interessati e quindi aver camminato con loro.