Doveva essere ufficializzata il 23 marzo scorso ma la pace in Colombia è complicata da una serie di questioni irrisolte.
La pace in Colombia sembra una chimera. Doveva essere ufficializzata il 23 marzo scorso ma “arrivare alla fine del conflitto” per usare le parole del presidente Juan Manuel Santos non è stato “per ora possibile” dopo quasi quattro anni di negoziati all’Avana, Cuba, per la mancata accettazione di disarmare da parte dei leader delle Forze armate rivoluzionarie colombiane, le Farc. Il conflitto affonda le sue radici nella storia di questo paese sudamericano, una storia fatta di diseguaglianze sociali che gridano vendetta, di una politica troppo spesso in passato collusa con narcos e paramilitari, di riforme agrarie mancate e, sul piano internazionale, di una Guerra Fredda che pure sarebbe finita da 27 anni, con il crollo del Muro di Berlino.
Per comprendere la possibile pace futura, tuttavia, dobbiamo fare un passo indietro di oltre 60 anni.
9 aprile 1948. È questa la data da cui si deve partire per comprendere l’origine del conflitto armato in Colombia, un paese che con 15 milioni di abitanti in meno dell’Italia detiene un record demografico vergognoso, quello del maggior numero di rifugiati e sfollati interni al mondo. Più del Sudan. Quel giorno Jorge Eliécer Gaitán, un avvocato liberale, veniva ucciso poco prima di incontrarsi con un allora giovanissimo Fidel Castro. Il primo voleva a tutti i costi fare la riforma agraria per togliere dalla miseria milioni di suoi concittadini, il secondo sognava la rivoluzione. Solo il cubano centrerà il suo obiettivo mentre proprio con l’omicidio Gaitán aveva inizio l’“inferno colombiano”. A tal punto che i successivi 16 anni passeranno alla storia in Colombia come il “periodo della Violenza”.
5 milioni e 280mila. Non si tratta della popolazione della capitale Bogotá ma del numero dei colombiani scappati all’estero o costretti a percorrere centinaia di Km camminando nella foresta, trasformandosi così in emigranti all’interno del loro stesso paese. In tutto il 10% della popolazione colombiana – i dati sono forniti dall’ong Codhes che si occupa di diritti umani – un’enormità. Degli 11 milioni di abitanti che nel 1948 vivevano in Colombia due milioni sono fuggiti all’estero nei 16 anni de “La Violenza” mentre negli scontri feroci tra gli esponenti del partito liberale di Gaitán e quelli del partito conservatore ci sono stati oltre 200mila morti.
Le Farc nascono, però, solo nel 1964 come “unità di autodifesa contadina” in seguito all’attacco portato da 16mila soldati contro la popolazione rurale di Marquetalia, tra i dipartimenti di Huila e Cauca nel sud del Paese. Qui 200 contadini vennero massacrati e altri 2mila incarcerati mentre Manuel Marulanda, il fondatore del gruppo guerrigliero, riesce a fuggire. Dopo la guerra civile scatenatasi nel 1948 era abbastanza chiaro che la violenza sarebbe rimasta a lungo una costante nella vita dei colombiani. E il motivo nella mente dei guerriglieri che nel 1964 fondarono le Farc era semplice: impossibile qui fare politica solo con le idee, era necessaria una forza militare alternativa, anzi “rivoluzionaria”.
Oggi, dopo 52 anni di lotta contro lo Stato fatta dalle Farc a suon di rapimenti, uccisioni e collusioni con i narcos per autofinanziarsi, l’intenzione di Santos di passare alla storia come “il presidente della pace” riaccende la speranza alla pace vera. Ovvero alla smobilitazione degli oltre 8mila guerriglieri che attualmente fanno parte delle Farc.
Nonostante il rinvio dello scorso 23 di marzo, la firma di una storica pace sembra essere ad un passo in Colombia, anche perché oggi ha molti supporter a livello internazionale. A cominciare da Papa Francesco, che ha promesso un prossimo viaggio a Bogotá.
Rimborsi alle vittime del conflitto, abbandono del narcotraffico, riforma agraria, smobilitazione e riconsegna delle armi, reinserimento nella vita civile e politica dei combattenti. Sono molti i punti su cui l’intesa tra Farc e governo colombiano è già stata raggiunta da quando, nel novembre del 2012 e con la mediazione di Norvegia e Croce Rossa Internazionale, i leader della guerriglia annunciarono l’intenzione di farla finita con un conflitto oramai fuori dal tempo perché “figlio” della Guerra Fredda.
Di certo c’è che da quando lo scorso 23 settembre è stato firmato l’ultimo accordo di pace sulla giustizia di transizione (concederà l’amnistia ai guerriglieri che non si sono macchiati di crimini di guerra, lesa umanità o genocidio in cambio della loro smobilitazione) manca solo la smobilitazione/disarmo delle Farc ed il “gran pacto” finale da sottoscrivere e da sottoporre, poi, a referendum affinché la popolazione colombiana possa avere l’ultima parola per scegliere tra la pace e la guerra. Ci si dovrebbe arrivare entro la fine del 2016. Questa almeno è la speranza di molti, a cominciare da Papa Francesco.