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Alma, vida y corazón: i 40 anni in Bolivia di Riccardo Giavarini

Laico bergamasco, in Sudamerica dal 1976, in occasione della Giornata missionaria mondiale 2021 riceve il premio Cuore Amico per il suo lavoro in Bolivia a fianco dei giovani detenuti e delle ragazze vittime di tratta e sfruttamento. Il suo racconto: “Quando ti metti al servizio delle fragilità è un continuo dare e ricevere”
  Dalle parti di La Paz (capitale boliviana affacciata sull’altipiano andino) e di El Alto (la sua povera e popolosissima periferia), Riccardo Giavarini è una sorta di istituzione. Missionario laico bergamasco classe 1955, è arrivato in Sud America poco più che ventenne e da quel momento non se n’è più andato spendendo la sua vita al fianco degli ultimi e a difesa dei diritti umani. Per il suo lavoro quarantennale, sabato 23 ottobre a Brescia – insieme a mons. Christian Carlassare, vescovo eletto di Rumbek in Sud Sudan, gambizzato qualche mese fa prima ancora del suo ingresso in diocesi, e a suor Filomena Alicandro, missionaria dell’Immacolata da 55 anni in Bangladesh – riceverà il Premio Cuore Amico, il riconoscimento che ogni anno l’omonima fondazione di Brescia consegna in occasione della Giornata missionaria mondiale. L’avventura di Riccardo in America Latina comincia nel 1976 e i primi anni sono divisi tra Bolivia e Perù dove si trasferisce con la moglie, Bertha Blanco, conosciuta a Cochabamba. Ad Ayaviri, piccolo pueblo nel sud del Perù, lavoreranno 9 anni con la realtà rurale dell’altipiano: lui affianca i campesinos nei programmi di sviluppo rurale, lei si occupa della formazione integrale della donna. “Erano gli anni della teologia della liberazione e di un forte movimento di riscatto del popolo da parte della Chiesa – racconta Giavarini -. Purtroppo, verso la fine degli anni ’80, l’organizzazione guerrigliera Sendero Luminoso si infiltrò anche nella nostra zona e fummo costretti a chiedere al vescovo di lasciarci partire per la pericolosità della situazione. Tornammo in Bolivia, a La Paz, nel 1989 e da quel momento non l’abbiamo più lasciata”. Da qui comincia un percorso multidisciplinare che lo porterà ad occuparsi di tante e diversissime fragilità del popolo boliviano. Sarà coordinatore del Mlal (Movimento dei laici per l’America latina) per più di 10 anni e, per i primi tempi, continuerà a dare seguito al lavoro cominciato in Perù con le aree rurali e al fianco delle popolazioni indigene. È solo nei primi anni 2000 che Riccardo comincia ad avvicinarsi al mondo delle carceri, ambito nel quale è impegnato ancora oggi: “La defensoria del pueblo (autorità statale per i diritti fondamentali, ndr) mi chiese di prendere in considerazione la difficile situazione dei tanti adolescenti rinchiusi nelle carceri per gli adulti che, al tempo, erano costretti a subire violenze e abusi di ogni tipo. Capimmo subito che l’urgenza era quella di costruire uno spazio sicuro e protetto dove spostare i giovani”. Grazie all’apporto della Conferenza episcopale italiana, nel 2011 venne inaugurato il carcere minorile di Qalauma con un modello di intervento basato sulla giustizia riparativa. “Si è rivelato uno spazio decisivo per l’intero sistema penitenziario boliviano e per il rispetto dei diritti dei giovani dai 16 ai 21 anni”, rivela Giavarini.     Il lavoro capillare svolto dal laico bergamasco non si è limitato solo agli adolescenti detenuti, come lui stesso racconta: “Oggi sono impegnato sul tema della tratta e traffico di minori, soprattutto bambine e adolescenti, con la mia associazione Munasim Kullakita, che significa Vuoi bene ate stessa, sorellina. Oltre a tutto il tema della prevenzione e sensibilizzazione nelle scuole, a El Alto abbiamo una casa-famiglia dove accogliamo ragazze vittime di tratta e sfruttamento sessuale. Le minorenni vengono seguite da un’equipe multidisciplinare che interviene nei vari aspetti della vita di queste ragazze per offrire loro un futuro nuovo e sicuro”. Su 10 adolescenti che entrano nella casa-famiglia di Riccardo, 8 riescono a reimmettersi nella società in modo positivo, cambiando completamente vita e allontanandosi dal mondo dello sfruttamento. “Facciamo anche molto lavoro di strada: andiamo nei luoghi più difficili di El Alto ad incontrare le adolescenti vulnerabili che sempre più vengono sfruttate nel giro della prostituzione. Ci approcciamo a loro senza forzature ma semplicemente proponendo l’opportunità di una vita diversa. Spesso ci troviamo di fronte a ragazzine di 14-15 anni che sono già madri e che vivono situazioni di sfruttamento terribili dalle quali pensano di non poter uscire in alcun modo”. L’ultimo fronte sul quale Giavarini è impegnato insieme al suo team è quello dei migranti: “Sono ormai 3 anni che ci occupiamo dei migranti venezuelani, in particolare di donne e bambini che scappano dal loro Paese per trovare condizioni di vita migliori. Abbiamo tre case di accoglienza in punti strategici lungo la rotta migratoria dove ospitiamo le famiglie e diamo loro cibo e riparo fintanto che lo necessitano”. Grazie all’intervento dei volontari che lavorano con Giavarini, alcuni di loro riescono a trovare lavoro e decidono così di rimanere in Bolivia. Il lavoro intenso e ramificato svolto da Riccardo è reso possibile grazie all’equipe di 76 persone che lo accompagnano in questa sua missione a favore della dignità della persona e del rispetto dei diritti umani. “Io cerco sempre di mettere nel mio lavoro ‘Alma, vida y corazón’ come si dice da queste parti (anima, vita e cuore) ma non ce l’avrei mai fatta da solo. Se c’è una cosa che ho imparato nella mia attività in Bolivia è che quando ti affianchi alle fragilità è un continuo dare e ricevere: certo, noi possiamo offrire un’alternativa di vita, possiamo migliorare il futuro di alcuni, ma in cambio riceviamo tantissimo dalle biografie di queste persone che ci interrogano, ci scuotono e ci cambiano nell’intimo come poche cose sono in grado di fare”.    

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