Il progetto, fortemente sostenuto da governi, agricoltori e allevatori per motivi commerciali, è invece osteggiato dalle comunità indigene e dagli ambientalisti
Il Gran Chaco – l’enorme pianura che si estende fra Argentina, Bolivia, Brasile e Paraguay, secondo polmone verde del Sudamerica dopo l’Amazzonia – sarà attraversato per 525 chilometri da una nuova autostrada, un progetto infrastrutturale e transnazionale lungo complessivamente 2.200 chilometri che collegherà la costa atlantica del Brasile a quella pacifica del Cile.
I governi dei Paesi attraversati (Argentina, Brasile, Cile e Paraguay) hanno tutti dato il loro sostegno al progetto, soprattutto Mario Abdo, il presidente del Paraguay, Paese senza sbocco sul mare. «Il Paraguay è il quarto esportatore di soia al mondo. Per raggiungere l’Oceano Pacifico, la soia deve passare attraverso il Canale di Panama. Una volta che la nuova autostrada sarà pronta, genererà un risparmio per l’intero settore produttivo di circa il 25% sui costi logistici e ci vorranno circa 14 giorni in meno per raggiungere i grandi mercati», ha dichiarato alla Bbc, che ha dedicato un approfondimento a questo tema raccogliendo le voci dei favorevoli e dei contrari al progetto.
Egon Neufeld, ricco proprietario terriero paraguayano, sostiene che la strada renderà più facile per gli allevatori come lui trasportare bestiame e soia fino alle città portuali sull’Atlantico e sul Pacifico, da dove potranno essere poi facilmente spediti ai mercati d’oltremare. Secondo Neufeld, la nuova strada offrirà anche opportunità di lavoro che attireranno nella zona molti lavoratori.
Tuttavia, la costruzione della nuova autostrada preoccupa molto le comunità indigene. Taguide Picanerai, giovane leader degli ayoreo, che sono tra i primi abitanti del Chaco, si fa portavoce delle sofferenze della sua comunità che già subisce gli effetti della deforestazione: un gran numero di alberi, infatti, sono stati rasi al suolo per lasciare spazio al pascolo del bestiame. Secondo le immagini satellitari Landsat dell’osservatorio terrestre della Nasa, dal 1985 circa il 20% della foresta del Gran Chaco è stato convertito in terreni agricoli o in pascoli. «La nuova strada comporterà un aumento dell’allevamento di bestiame, con conseguente perdita di biodiversità», afferma Picanerai, che teme anche un’ulteriore perdita di territorio per gli ayoreo.
Già in passato gli allevatori che si sono stabiliti nella regione si sono spostati nelle terre ancestrali di questo popolo, limitando loro l’accesso all’acqua e riducendo gli spazi per la caccia. Gran parte della loro terra è stata venduta agli agricoltori e ci sono voluti anni di battaglie legali perché potessero recuperarla parzialmente: «Quel territorio è vitale per noi», insiste Picanerai.
Il presidente Abdo ammette che la nuova strada «comporterà un aumento della popolazione nel Chaco e maggiori attività commerciali», ma ritiene che, se saranno rispettate le leggi, l’impatto sarà positivo. Aggiunge che esistono già regole severe per i proprietari terrieri, tra cui una disposizione che stabilisce che «il massimo che le persone possono disboscare nel Chaco è il 50% della loro terra o meno se la biodiversità dell’area è più delicata».
Ma per l’ambientalista Miguel Lovera, le misure in vigore non sono sufficienti: «La costruzione di nuove strade porta a un’ulteriore deforestazione e alla riduzione della foresta in piccoli lembi, il che mette a dura prova il fragile ecosistema», sostiene Lovera, che è a capo di un’organizzazione che si batte per la protezione dei gruppi indigeni del Chaco.
Bianca Orqueda, giovane cantautrice del gruppo indigeno nivaclé, vede, invece, alcuni aspetti positivi nella nuova strada. Gestendo una scuola di musica per bambini alla periferia della città mennonita di Filadelfia e dividendosi tra la sua comunità e la capitale Asunción – distante 453 chilometri – Orqueda pensa che la nuova strada velocizzerà i cllegamenti. Inoltre, afferma che non è più possibile per la sua comunità continuare a vivere in isolamento, sostenendo che i nivaclé devono «andare avanti», il che per alcuni può significare lasciarsi alle spalle il Chaco e il loro stile di vita. «Dico ai bambini che se vogliono diventare medici, architetti, dentisti o musicisti, dovranno lasciare la comunità una volta terminata la scuola e andare in un’altra città. Qui a Filadelfia non ci sono università, non c’è nulla, a meno che non ci si voglia dedicare all’agricoltura», sostiene Orqueda.
Ma per Picanerai, la conservazione del Chaco non riguarda solo lo stile di vita della sua comunità indigena: «La ricca biodiversità Chaco è una questione globale che dovrebbe stare a cuore a tutti», e aggiunge che è determinato a proteggere la sua terra dai nuovi arrivati che potrebbero trasferirsi dopo che la nuova strada sarà terminata.