Domenica l’Argentina va alle urne per le presidenziali. Favorito il governatore di Buenos Aires Daniel Scioli (sostenuto ma non amato dalla Kirchner). La partita però è aperta, mentre la crisi del populismo a Buenos Aires si fa sentire
Domenica 25 ottobre, gli argentini sceglieranno il nuovo presidente. Uso il maschile perché sono tutti uomini i possibili successori di Cristina Fernández de Kirchner.
Nonostante i sondaggi indichino un sostanziale equilibrio tra i tre candidati piú quotati, tutto sembra indicare che a godere delle maggiori chances di vincere sia Daniel Scioli, governatore di Buenos Aires, la piú popolosa provincia argentina (da non confondere con la omonima capitale), con 17 dei 41 milioni di abitanti del Paese.
In realtá, il livello di incertezza é tale da non escludere che Scioli non riesca a farcela al primo turno, e si vada dunque al ballotaggio. Per vincere al primo turno in Argentina è infatti necessario il 45% dei voti o almeno il 40% ma con dieci punti di vantaggio sul secondo.
Dietro al governatore di Buenos Aires, l’altro candidato più accreditato è Maurizio Macri, un tecnocrate di idee liberiste a capo di una coalizione sostanzialmente formata dal suo partito, Pro, dalla tradizionale Unione Civica Radicale ed altri gruppi minori di opposizione: il suo consenso si attesta intorno al 30%. Piú distanziato, intorno al 20%, appare Sergio Massa, ex capo di Gabinetto di Cristina, successivamente allontanatosi per poi rappresentare parte del peronismo che si oppone al progetto dei Kirchner.
Nonostante Macri abbia maggiori possibilitá di accedere al secondo turno, Massa in un eventuale ballottaggio sarebbe uno sfidante più temibile per Scioli, dal momento che gli elettori peronisti non voterebbe mai per Macri. Per questo, nel dibattito elettorale, si parla molto del ricorso al “voto utile”, soprattutto da parte degli oppositori decisi ad mettere fine alla attuale ciclo.
La peculiaritá di queste elezioni é rappresentata dal fatto che in realtá si tratta di candidati di ripiego. Scioli non é stato sempre benvisto dai seguaci del Frente para la Victoria, il partido al Governo, e dalla stessa Cristina, anche quando fu vicepresidente di Néstor Kircher. La scelta, operata dalla stessa presidente uscente, è caduta su di lui più per la consistenza della sua popolaritá che per la sua capacitá di gestione – tutt’altro che efficiente. A suo favore ha giocato anche la sua innata capacitá di mediare: un vero e proprio capitale politico in un Paese che da anni é scosso da feroci polemiche.
Macri e Massa, a loro volta, attraggono consensi più per la possibilitá di mettere fine a un ciclo dei dodici anni dell’era dei Kirchner, che per la qualità della loro proposta politica.
Come si spiega un livello di scontro che raggiunge elevati livelli di livore ed allo stesso tempo una popolaritá della presidente che ancora convince quasi la metá degli argentini? Il kirchnerismo ha avuto il merito di traghettare il Paese fuori dalla tremenda crisi del 2001-2002, con una gestione con forte accento sulla ridistribuzione mediante politiche sociali che fece sognare a tanti una trasformazione radicale, quasi un riscatto dopo la debacle.
In realtá, dopo aver ridotto sensibilmente la povertá, durante la gestione di Cristina si é fatto strada un concentrato di populismo-pro sviluppo, con una involuzione che é diventata stagnazione ed ha favorito il clientelismo. In vari settori del Paese lo Stato é il principale datore di lavoro e di stipendi. Il Governo ha prima operato un maquillage statistico dei dati sull’economia per poi direttamente cessare di fornire informazioni in materia di povertá e inflazione. Dopo la crescita intensa, ottenuta grazie sopratutto agli alti prezzi internazionali delle materie prime, il Paese ha rallentato la sua corsa e se la crisi non é maggiore lo si deve solo alle enormi ricchezze, umane e materiali, di cui é dotato.
Il prossimo presidente erediterá, dunque, una situazione economica difficile con un Paese prossimo alla crisi. Ma la vera crisi è quella istuzionale. Durante questi anni é stato praticamente smantellato l’assetto istituzionale dell’Argentina, spesso col pretesto di una ribellione alle forme, in realtá soggiogando sia il Parlamento che il potere giudiziario, neutralizzando gli organismi di controllo e dribblando con ogni mezzo le norme di legge. Particolarmente gravi i casi di corruzione che hanno messo sotto inchiesta il vicepresidente, vari ministri e sottosegretari, fino allo stesso patrimonio della presidente e della sua famiglia, mentre le voci fuori dal coro (opposizioni, stampa, intellettuali, funzionari pubblici) venivano trasformati in nemici del popolo.
Non sará facile ricostruire una democrazia solida, che continua ad essere uno dei talloni d’Achile dei Paesi emergenti, senza la quale appare improbabile construire un progetto di sviluppo.
Ma con l’Argentina, esperta nel risorgere dalle proprie ceneri, non si sa mai.