Il nuovo presidente dell’Argentina è Maurizio Macri, che ha vinto grazie all’alleanza con i settori moderati. La sua propensione al neoliberismo è conosciuta, il problema sarà come non vanificare anni di recupero dei salari e delle pensioni e di diminuzione delle disuguaglianze.
Non è facile fare previsioni in Argentina. Ci starà pensando Daniel Scioli, che pochi mesi fa pregustava una vittoria almeno comoda ed oggi medita su una sconfitta cocente da parte dell’industriale Maurizio Macri. L’intensa campagna centrata sullo spauracchio delle eventuali politiche neoliberiste di Macri ha evitato di certo che il margine di differenza fosse superiore ai 2,8 punti percentuali, ma ha impedito a Scioli di spiegare alla gente che cosa avrebbe fatto per risolvere i problemi del Paese – inflazione al 25%, riserve finanziare al lumicino, stagnazione economica, lotta alla povertá – che il suo partito ha negato a spada tratta per anni.
Ma se è importante vincere, ancora più importante è sapere perché si è vinto. Il ballottaggio non ammette sfumature nella scelta elettorale. È bianco o nero, si o no. E se è vero che il 51,6% ha votato per Macri, è altresì vero che il 48,8 ha votato contro di lui.
Nel 2011, lo stesso elettorato assegnò al primo turno il 54% dei voti a Cristina Fernández de Kirchner, con piú di 37 punti di vantaggio sul secondo classificato che raccolse appena il 16%. L’insieme dei voti dell’opposizione non superò il 42%. Un vero e proprio plebiscito.
Che cosa ha prodotto questo terremoto politico? Cristina e Scioli non hanno compreso il logorio provocato nell’opinione pubblica dal permanente clima di scontro. Una strategia che ha dato risultati spazzando via le posizioni intermedie e moderate, ma che a lungo andare ha perso la capacità di comprendere le reali dinamiche sociali e politiche del Paese.
Infatti, la vittoria di Macri si deve in gran parte all’alleanza tra il suo partito (Pro) e settori moderati, in particolare l’Ucr, un partito tradizionale di stampo pro-sviluppo, e la Coalizione Civica Ari, di Elisa Carrió, di scarso peso elettorale ma di riconosciuta dirittura morale, quasi ossessiva fustigatrice della corruzione politica.
Un altro fattore che ha agito a sfavore del “modello kirchnerista”, un vero autogol, sono i limiti della retorica che per anni ha creduto di presentare un Paese diverso rispetto a quello reale. Un “intellettuale K”, era arrivato a spiegare l’alta inflazione sulla base “della felicità della gente, la cui gioia la spinge a spendere di più”. Mentre i dati ufficiali indicavano una inflazione al 50% di quella reale, Cristina assicurava all’Onu che i poveri in Argentina erano al di sotto del 5%. “Meno della Germania”, ebbe a vantarsi il capo di gabinetto. Le statistiche più serie moltiplicano per quattro questa cifra.
C’è da augurarsi che il nuovo presidente abbia chiaro la componente di rifiuto alla continuità nel suo successo. La sua propensione al neoliberismo è conosciuta, come pure ne sono conosciuti gli effetti in tutta l’America latina. Le sue nomine ai dicasteri economici, accorpati in sette aree, sono ricadute su economisti di questo orientamento. Il problema sarà come non vanificare anni di recupero dei salari e delle pensioni e di diminuzione delle disuguaglianze. I sindacati saranno molto attenti in questo senso. I conflitti sociali, attuali e potenziali, resteranno tra i primi punti dell’agenda del nuovo presidente. È stato già annunciato che sarà difficile mantenere gli ingenti sussidi a trasporti ed energia. Ma appaiono altresí difficili i tagli alle politiche sociali: semmai lo sforzo dovrà concentrarsi nel renderle più efficaci.
È probabile che un clima di maggiore fiducia, con regole del gioco chiare, nel breve termine spinga positivamente il Paese, la cui politica estera si annuncia più conciliante, ad esempio, con gli Stati Uniti.
La compagine del governo di Macri è composta da rappresentanti dell’arco di alleati al suo progetto e anche da un ministro di Cristina, quello dell’area della scienza e della ricerca, stimato per l’eccellente gestione. Un gesto di apertura al quale la presidente ha risposto con pessimo fair play, negando la collaborazione necessaria per queste due settimane di transizione da un governo all’altro.
Il 10 dicembre inizia un nuovo capitolo, il cui finale resta assolutamente aperto: le alleanze elettorali non hanno spesso lunga vita. Sconfiggere l’avversario è solo il primo passo. Riuscirà Macri a guidare un progetto di sviluppo che sia davvero sostenibile?