San Paolo piange la morte dell’arcivescovo emerito, grande figura del post Concilio in America Latina. Nella sua storia il coraggio con cui difese i prigionieri politici durante la dittatura militare a partire da un episodio che nel 1971 coinvolse direttamente il Pime
Il Brasile piange in queste ore la morte del novantacinquenne cardinale Paulo Evaristo Arns, arcivescovo emerito di San Paolo, grande figura della Chiesa latino-americana nel post-Concilio. Il cardinale Arns è stato un punto di riferimento importante anche per il Pime in Brasile e a San Paolo in particolare. E proprio con la storia del Pime in Brasile si intreccia uno dei suoi gesti più significativi negli anni caldissimi della dittatura militare: la presa di posizione in favore dei prigionieri politici.
Era stato infatti nominato da poche settimane arcivescovo di San Paolo (dopo averne già conosciuto bene le periferie da vescovo ausiliare) quando il 25 gennaio 1971 i militari arrestarono un giovane missionario del Pime, padre Giulio Vicini, e un’assistente sociale collaboratrice della parrocchia, Yara Spadini. Gli arresti avvennero nella parrocchia di Brooklin, il grande quartiere di San Paolo dove i padri del Pime erano arrivati nel 1948, in una zona letteralmente esplosa in pochi anni con la grande migrazione interna. Un contesto in cui – nel segno della Conferenza di Medellin – i missionari avviato il modello pastorale delle comunità di base. Padre Vicini e Yara Spadini vennero accusati di associazione sovversiva per aver riprodotto una circolare della commissione operaia presente in quella zona di San Paolo. Un testo in cui – partendo dalla morte in circostanze oscure di un giovane locale – venivano denunciati i «crimini della dittatura militare».
I due vennero condotti in carcere ed entrambi picchiati e torturati, anche con l’uso di scosse elettriche. La vicenda segnò un passaggio importante nell’azione della Chiesa brasiliana sul tema dei prigionieri politici: l’arcivescovo Arns – dopo essersi recato personalmente in carcere a verificare le loro condizioni – diffuse un comunicato molto duro, con la richiesta ai parroci di affiggerlo alle porte di tutte le chiese. Scrisse che i due operatori pastorali della parrocchia di Brooklin «godono della più alta stima nella zona vescovile della diocesi a cui appartengono» e «sono stati torturati in maniera ignominiosa nella sezione politica della polizia, come il vicario episcopale e l’arcivescovo stesso hanno potuto verificare».
Non fu però solo la vicenda personale dei due collaboratori al centro della denuncia di Arns. «In prigione vi sono molti capifamiglia e giovani all’inizio della loro carriera – diceva apertamente in quei giorni l’arcivescovo di San Paolo -. Sono mesi e talora anni che queste persone, prive della libertà, aspettano di difendersi: molti sanno molto bene di essere stati arrestati ingiustamente. La nostra città detiene il record dei prigionieri politici: è imperdonabile continuare a mantenere questo sistema penale ritenuto uno dei più immorali e ingiusti nel mondo libero». Le cifre che circolavano all’epoca parlavano di 12.000 prigionieri politici in quel momento nelle carceri brasiliane.
Il 31 marzo arrivò il processo per gli operatori pastorali della parrocchia di Brooklin: padre Vicini venne condannato con l’accusa di «aver dato il suo aiuto a movimenti sovversivi»; la pena fu di sei mesi di carcere (ridotta di un terzo perché incensurato); Yara Spadini fu invece assolta per insufficienza di prove. I tempi rapidi del processo e la scelta della pena minima furono una conseguenza evidente dell’intervento dell’arcivescovo Arns. Più tardi, poi, da un tribunale militare superiore di San Paolo sarebbe arrivato il proscioglimento pieno anche per padre Vicini (che qualche anno dopo sarebbe uscito dal Pime). La difesa dimostrò che il sacerdote non aveva fatto altro che denunciare le circostanze della morte del giovane operaio del quartiere.
«C’è da augurarsi – commentava Mondo e Missione nell’ottobre 1971, dando notizia dell’esito finale della vicenda – che simili riconoscimenti dell’innocenza di un prigioniero politico si avverino per tutte quelle persone che ancora soffrono in carcere in conseguenza del loro coraggio di denunciare la violazione dei diritti della persona umana».