Il Presidente Bukele aveva promesso ai salvadoregni di eliminare le bande criminali che da trent’anni controllavano il Paese. Ma adesso è lo Stato a perpetrare violenze: 78 mila arresti, migliaia di sparizioni forzate e morti nelle carceri sovraffollate. A rimetterci, molti cittadini innocenti
El Salvador sta vivendo una vera e propria crisi dei diritti umani. Il presidente Nayib Bukele, al potere dal 2019, aveva incentrato la sua campagna elettorale sull’eliminazione della criminalità delle gang – obiettivo ritenuto da tutti impossibile – riuscendo poi, effettivamente, a ridurre gli omicidi al tasso più basso negli ultimi trent’anni e riscuotendo così successo tra la popolazione e diventando celebre in tutta la regione. Questo è dovuto in parte alle negoziazioni segrete e illegali con i leader più potenti delle gang a cui sono state promesse migliori condizioni nelle carceri se il numero di omicidi fosse diminuito. Bukele si è inoltre assicurato il controllo dell’assemblea legislativa e del governo, e accentrato tutti i poteri su di sé, assicurandosi anche un secondo mandato nonostante la Costituzione non lo permetta.
A marzo 2022, Bukele ha imposto lo stato di emergenza che sospende la necessità di emettere mandati di arresto e nega il diritto a un giusto processo. Secondo Amnesty International le autorità hanno messo in carcere 78 mila persone e si sono rese responsabili di 235 morti sotto custodia. Inoltre, un altro gruppo locale a sostegno dei diritti ritiene che si sono verificati 327 casi di sparizioni forzate.
«Ridurre la violenza delle bande sostituendola con la violenza dello Stato non può essere un successo», ha dichiarato la direttrice per le Americhe di Amnesty, Ana Piquer, secondo la quale il governo salvadoregno ha adottato «misure sproporzionate», negando, minimizzando e nascondendo le violazioni dei diritti umani.
Da più di trent’anni il Paese subiva l’ingente presenza della criminalità organizzata; le due gang principali e rivali erano l’MS-13 (abbreviazione di “Mara Salvatrucha”) e Barrio 18, formatesi a Los Angeles negli anni della guerra civile salvadoregna che durò dal 1979 al 1992. Durante la guerra, per scappare da violenza e povertà, in migliaia si trasferirono in California e molti vennero coinvolti in attività criminali. In quegli anni, negli Stati Uniti si diffusero politiche anti-immigrati e di guerra alla droga e – con la Legge sulla riforma dell’immigrazione illegale e la responsabilità degli immigrati del 1996 – i salvadoregni vennero espulsi e deportati a El Salvador, favorendo così la diffusione delle bande criminali nel Paese e poi in tutta l’America centrale.
Oggi, però, un’inchiesta condotta da Al Jazeera mostra la terribile situazione che si cela dietro alla guerra alle gang di Bukele. Lo stato di emergenza è stato introdotto dopo l’uccisione di 87 persone da parte dell’MS-13, una sorte di “monito” al Presidente. Che ha risposto con il pugno di ferro. Tra le migliaia di arrestati, molti sono accusati di essere parte di gruppi illegali, un reato che comporta dai 20 ai 40 anni di prigione. Una volta dentro, i detenuti non hanno diritto a un avvocato o a comunicare con la famiglia.
Nel suo lavoro con l’organizzazione per i diritti umani Cristosal, Noah Bullock ha documentato 3.400 casi di arresti arbitrari dall’inizio dello stato di emergenza e 70 mila persone arrestate solo nell’ultimo anno, inclusi minori, il più giovane dei quali ha solo 12 anni. «In pratica il governo può arrestare chi vuole e accusarli senza nemmeno dare loro la possibilità di difendersi», ha dichiarato Noah. «Detengono membri delle gang, ma anche persone innocenti. In questo contesto non c’è presunzione di innocenza ma presunzione di colpevolezza», ha affermato la parlamentare Claudia Ortiz.
È vero che in meno di un anno questa politica ha dimezzato il tasso di omicidi, ma questo traguardo ha un costo molto: il numero di persone imprigionate è il più elevato di tutto il mondo. Le carceri sono sovraffollate, molti sono detenuti indefinitamente e senza processo, altri spariscono. Non si sa dove siano imprigionate queste persone, con quali accuse sono state portate lì, tutto è segreto. Oltre alle carceri esiste anche un centro di confinamento, in cui i membri delle gang scontano pene dai 20 ai 40 anni, una mega prigione con circa 40 mila persone, la più grande al mondo.
Il governo ha creato anche linee telefoniche dedicate per incoraggiare i cittadini a denunciare membri delle gang alla polizia. «C’erano cartelli che dicevano “aiutateci a trovare i terroristi” e molte persone sono state arrestate in seguito a segnalazioni anonime ed era evidente che si trattava di regolamenti di conti passati», ha affermato Noah.
È il caso, ad esempio, di Gabriel che da molti mesi non ha più notizie della moglie Maria Luisa e della figliastra, Fatima. Detenute in un carcere femminile a due ore dalla capitale – la giovane donna di 33 anni, madre di tre figli – è stata arrestata nel giugno del 2022 con l’accusa di estorsione e minacce di morte ai vicini e alla polizia. Dopo gli arresti l’altra figlia di Maria Luisa ha ricevuto un messaggio con la richiesta di pagare 500 mila dollari e la minaccia di denunciare Gabriel alla polizia. «Tua madre e tua sorella sono già in carcere perché non mi hanno pagato», cita il messaggio che Gabriel sospetta essere di un membro della gang che Fatima aveva denunciato l’anno prima per molestie sessuali. Gabriel si è così rivolto alle autorità in quanto queste minacce provavano l’innocenza delle due donne, ma invano. «Sono più bravi i sequestratori, perché almeno loro danno il telefono e ti fanno sapere se sono vive. Lo Stato invece no, nessuna chiamata e non sappiamo se i nostri cari sono vivi».
Persino una donna di 76 anni era stata arrestata per sospetti collegamenti con le bande. La famiglia stava consegnando un pacco alla prigione quando le è stato notificato che era morta tre mesi prima e il suo corpo era in una fossa comune.
Carlos, meccanico di 34 anni, è stato arrestato nel maggio del 2022 per possibili connessioni con le gang. Dopo tre giorni è morto a causa per strangolamento. Ma non si sa chi sia il responsabile: «Alcuni detenuti vengono torturati, si ammalano, altri muoiono, ma le autorità non condividono informazioni con le famiglie, forse non le producono affatto», afferma Claudia Ortiz. Un altro giovane, arrestato con la promessa di essere rilasciato in un paio di settimane è rimasto in carcere sette mesi senza processo. «Picchiano tutti e usano gas lacrimogeni. Ho visto arrivare persone che stavano bene e poi sono morte», ha raccontato in un’intervista.
Tutto questo fa sì che i cittadini non si sentano comunque al sicuro, perché temono che anche le persone innocenti possano finire in prigione. Inoltre, si teme le organizzazioni criminali possano riorganizzarsi e tornare più forti di prima, riportando El Salvador verso una situazione che potrebbe essere ancora più grave di quella attuale.