Il giovane vescovo del Chaco paraguayano è una voce in difesa di campesinos e indios nella foresta oggi più ferocemente disboscata al mondo: «Da papa Francesco la via per uno sviluppo vero»
Se l’immagine della periferia è la chiave per comprendere il viaggio che a luglio Papa Francesco compirà in America Latina, il Chaco paraguayano è quella più estrema: un territorio selvatico nel Nord del Paese, abitato da un pugno di campesinos e di tribù indigene. Un luogo a lungo dimenticato dagli stessi politici di Asunción, ma che oggi nell’America Latina delle grandi trasformazioni si trova a fare i conti con la corsa all’accaparramento delle terre.
Tra le poche voci che si levano in difesa delle sue genti c’è quella del salesiano mons. Gabriel Narciso Escobar Ayala, vescovo appena quarantaquattrenne, inviato qui da Papa Francesco. Da due anni è il vicario apostolico del Chaco paraguayano, volto di una presenza missionaria che risale direttamente ai tempi di don Bosco. Fu, infatti, personalmente al grande santo torinese che Pio IX chiese di inviare missionari tra gli indigeni del Chaco. Così nel 1896 quattro salesiani partirono da Asunción per risalire il grande fiume. Centoventi anni dopo questo vicariato apostolico resta una regione immensa, popolata da piccole comunità che vivono in una foresta xerofila (non lussureggiante, ma arida, spinosa) in un territorio esposto tanto a inondazioni improvvise quanto a periodi prolungati di siccità. Un’area estesa quattro volte la Lombardia ma con una popolazione di appena 25 mila persone, di cui almeno 6 mila indios. Una regione nel mirino dei grandi allevatori di bestiame: già oggi è da qui che proviene il 65% della carne e del latte prodotto in Paraguay; e – secondo l’Università del Maryland – è anche il posto dove nel mondo nel 2014 la deforestazione è avanzata in maniera più impetuosa: 280 mila ettari spariti in un solo anno per far posto ai bovini.
Che cosa significa essere vescovo in un contesto del genere? «Essere il Buon Pastore che dà la vita per le sue pecore, le conosce e le cercaci risponde mons. Escobar Ayala -. Un uomo di Dio, fedele alla Chiesa, dalla vita spirituale profonda, capace di contagiare i propri sacerdoti e i fedeli. Ed essere disposto a denunciare tutto ciò che va contro l’insegnamento del Vangelo, accompagnando il popolo di Dio con gesti concreti, perché possa sollevarsi da ogni povertà materiale e spirituale».
Denunciare quanto è contrario all’insegnamento del Vangelo: mons. Gabriel Escobar Ayala è un vescovo che questo compito lo svolge senza troppi giri di parole. Quando nel giugno del 2014 il Chaco, devastato dalle alluvioni, ha sperimentato per l’ennesima volta l’assenza dei più elementari interventi di protezione civile, ha diramato una durissima denuncia sull’abbandono da parte dello Stato: «Puerto Casado, Carmelo Peralta o Bahía Negra – ha scritto – sono grandi distretti dell’Alto Paraguay che i politici usano solo come trampolino di lancio per poter accedere al denaro facile con cui riempirsi le tasche». Recentemente ha diffuso le fotografie della sua auto impantanata sotto un cartello del ministero dei Lavori pubblici in cui si annunciavano i lavori di rifacimento della strada (mai eseguiti) con l’altisonante slogan «Costruiamo insieme una nuova rotta». A più riprese si è schierato dalla parte dei campesinos e delle popolazioni indigene, che si vedono sempre più spesso privati con l’inganno delle loro terre. Nel marzo scorso ha chiesto una commissione d’inchiesta sulle violenze della polizia in uno sgombero di un presidio dei campesinos a Puerto Guarani.
«La povertà di questa regione – spiega mons. Escobar Ayala – non deriva dalla mancanza di ricchezze, ma dall’assenza dello Stato che non investe nell’accompagnamento della popolazione negli ambiti della salute, dell’educazione, del lavoro, della distribuzione equa della terra. La conseguenza è l’emigrazione delle giovani generazioni dal Chaco, per l’impossibilità di accedere a studi superiori e a un lavoro degno. Ma uno dei problemi di questa terra è anche la mancanza di un impegno più deciso nel pretendere il rispetto dei propri diritti di cittadini. Dobbiamo formare una nuova generazione di giovani e una leadership più impegnata al servizio della società, attraverso una presa di coscienza del fatto che loro devono essere i primi controllori e difensori se le autorità non rispettano gli impegni presi».
Da questo punto di vista le attese riposte nella visita di papa Francesco sono molto grandi: Bergoglio non potrà salire fino al Chaco, ma già il fatto che arrivi in Paraguay è un grande dono per questa gente. «Tutti sperano che il Papa affronti temi di interesse sociale e nazionale a beneficio dell’intera popolazione – commenta mons. Escobar Ayala -. C’è molta fiducia nel fatto che il Papa ci illumini su come essere capaci di cogliere le opportunità per uscire dalla condizione di sottosviluppo in cui ci troviamo, una situazione che ci vede tante volte allungare la mano verso i Paesi vicini. Da parte mia – conclude il vicario apostolico del Chaco paraguayano – sono convinto che la sua visita porterà in tutta la Chiesa del Paraguay un rinnovamento nello spirito missionario e nell’impegno per il Regno di Dio, soprattutto in favore dei più poveri tra i poveri, come i campesinos e e le popolazioni indigene».