Il padre della teologia della liberazione dal Perù parla di don Sandro Dordi e dei due francescani polacchi che saranno proclamati beati sabato a Chimbote: «Uccisi da Sendero Luminoso perché costituivano un’alternativa non violenta al piano rivoluzionario. La denuncia della povertà per amore “complica” sempre la vita…»
In Perù siamo ormai alla vigilia della beatificazione dei martiri di Chimbote, tre missionari – il sacedote fidei donum bergamasco don Sandro Dordi e i francescani polacchi padre Miguel Tomaszek, Zbigniew Strzalkowski – uccisi nel 1991 dalla guerriglia maoista di Sendero Luminoso. Diventeranno beati sabato con un rito che si terrà proprio a Chimbote, nello stadio cittadino. Che cosa significa questa beatificazione per il Perù? E – più in generale – che cosa dice sul tema dei poveri e della sete di giustizia, ferita ancora aperta nelle periferie del mondo di oggi? Lo abbiamo chiesto a padre Gustavo Gutiérrez – il teologo peruviano considerato il padre della teologia della liberazione – che nello stesso Paese dei martiri di Chimbote è nato, ha sviluppato il suo pensiero e tuttora vive.
Padre Gutiérrez, che cosa ne pensa della prossima beatificazione dei tre martiri di Chimbote?
Sono persone che io ho incontrato e conosciuto solo occasionalmente. Ma direi che, anche al di là della loro vicenda personale, si possono fare alcune considerazioni per tutta l’America Latina. Come è possibile che in un continente a maggioranza cristiana e cattolica ci siano state e ci siano tante persone che vengono uccise? È una cosa che fa riflettere. Questi religiosi poi sono martiri perché uccisi, come si dice, in odium fidei. Ma occorre capire, più precisamente, che questo è accaduto a causa della carità, una conseguenza della loro fede. Non è stata quindi una questione di “dottrina” sulla fede, ma di azione per la giustizia. Né hanno desiderato essere uccisi. Il martirio porta a galla il peccato. Quando c’è una persona uccisa, vuol dire che c’è un assassino. E nessuno desidera che venga commesso un peccato di questo genere.
Chi sono i poveri oggi? Che cosa vuol dire stare coi poveri?
Stare coi poveri vuol dire essere cristiani. La povertà è la totale mancanza di diritti di vario genere: economici, culturali, razziali… La povertà è la condanna voluta all’emarginazione e all’irrilevanza… È la sostituzione della giustizia con l’elemosina… È il fatalismo di credere che la povertà sia inevitabile e non sia un peccato dell’uomo. La povertà è complessa ed ha molte cause, ma non è una fatalità. La denuncia della povertà per amore “complica” la vita ad altre persone. Da qui il martirio. Nessuno è destinato ad essere povero. Non è la volontà di Dio.
Che cosa ricorda del beato mons. Romero?
L’ho conosciuto a qualche incontro e poi sono andato al funerale che fu un’autentica tragedia, in un clima tesissimo, con più di quaranta morti, buona parte dei quali calpestati dopo i primi spari. Si è detto di una “conversione” di Romero ai poveri e alla giustizia durante il suo breve episcopato di soli tre anni a San Salvador. In realtà Romero era di formazione, diciamo così, tradizionale, ma non un “conservatore”. Ha voluto solo denunciare le cause della povertà e i casi di omicidio. Ha voluto stare al fianco dei poveri. Non bisogna ignorare nessuno, ma la nostra prima preoccupazione sono i poveri. La giustizia non è marginale o alternativa all’amore. È la prima espressione dell’amore. Non possiamo separare le due cose.
Cosa ne pensa del terrorismo politico come quello che in passato si è abbattuto sul suo paese con Sendero Luminoso ed altri movimenti?
È assolutamente criminale. Durante i conflitti interni dell’America Latina la maggior parte delle vittime sono state causate dalle forze armate governative o riconducibili ai gruppi di potere. Ma anche gruppi terroristici insurrezionali hanno fatto molti morti come i martiri di Chimbote. Personalmente condanno queste azioni nel modo più assoluto. Spesso i martiri dei terroristi sono caduti per il fatto che con la loro attenzione e amore alla gente costituivano un’alternativa non violenta al piano rivoluzionario. Erano come dei “concorrenti” sul territorio. Erano fuori dalla contesa politica.
Che rapporto c’è tra povertà e morte?
Il confitto interno in Perù ha provocato circa 70 mila morti. Due terzi di questi tra i gruppi indigeni più svantaggiati. Sono morti ancora una volta i più poveri. È la povertà la principale causa di morte nel mondo. Basti pensare agli 800 milioni di affamati che ancora abbiamo. Si tratta di una forma di violenza istituzionale. È giusto parlare di “scandalo” anche come categoria teologica. La disuguaglianza sociale è una grossa ferita. Una grossa pietra d’inciampo per l’annuncio del Vangelo e la realizzazione delle promesse.
Ma la religiosità in America Latina diventa sempre più spiritualista e forse anche fondamentalista…
È vero. Cresce infatti anche il pentecostalismo cattolico. Io dico che tutto può aiutare, ad un sola condizione: che non si crei una separazione con la realtà. La categoria di realtà è quella che ci deve guidare. Papa Benedetto ha fatto un’affermazione molto importante all’assembla dei vescovi latino-americani ad Aparecida (Brasile) nel 2007:“La santità non consiste nel rifuggire dal conflitto”. Viviamo in un tempo che definiamo “post” in tutti i sensi: post-industriale, post-moderno, post-ideologico… Ma siamo ancora molto lontani da una situazione di post-povertà. Questa è la realtà!