La “Casa dei nonni” di Port-au-Prince è un luogo di accoglienza di anziani spesso soli e abbandonati che qui hanno la possibilità di vivere serenamente il tramonto della loro vita. Ma hanno bisogno anche del nostro aiuto. Scopri qui come fare attraverso la Fondazione Pime
Il primo ospite della Maison des vieillards (“Casa dei nonni”) della Fondation Lakay Mwen (“Casa mia”) di Haiti fu Wilfrid, che allora aveva 19 anni e che era stato colpito da una pallottola mentre cercavano di rubargli la moto. Paralizzato dalla vita in giù, era stato messo in un angolo del cortile dell’Ospedale generale, un posto che, per la povera gente che non ha un centesimo, era come l’anticamera della morte. Il ragazzo era pieno di piaghe, con vermi, zanzare e topi come compagni. Il dilemma se accoglierlo o no, perché non era certo un anziano, durò solo qualche secondo. Lo abbiamo caricato sul nostro malconcio furgone e lo abbiamo portato a casa.
Era l’agosto del 2000. All’inizio avevamo solo una grande sala con il tetto di lamiere. Avevamo 21 brandine militari e altrettante sedie di paglia, piatti e bicchieri di metallo. Non c’era personale che lavorava per la missione a quel tempo. Cinque ragazzi, che ancora oggi sono miei collaboratori fidati, mi seguirono. Facevamo tutto da soli. Non avevamo nemmeno la corrente e non c’erano soldi per comprare un generatore, anche se piccolo. Ecco, quell’inizio spartano e quelle difficoltà io li ho sempre visti come una “prova”. Le prove servono a purificare le intenzioni e rinforzare volontà e motivazioni. Fu anche un periodo di gioia.
La Casa dei nonni nacque prima delle scuole e io do molto credito alla presenza degli anziani per la nascita e la fioritura del programma scolastico. Dopo Wilfrid, seguirono centinaia di anziani nel corso degli anni: Seveksan, Sagu, Bernard, Yves… persone che, se chiudo gli occhi, ricordo con un sorriso, con rispetto e anche con ammirazione. All’inizio eravamo sempre alla ricerca di anziani. Nel cortile dell’Ospedale generale, nella piazza della cattedrale, verso il porto. Malati o feriti che portavamo a casa e che a volte restavano oppure se ne andavano quando erano guariti. Avevamo spazio per circa 30 persone, mentre per le strade c’erano centinaia di bisognosi. Ricordo Yves, circa 70 anni, difficile da riconoscere come essere umano in mezzo alla spazzatura del cortile dell’ospedale. Anche in questo caso, lo abbiamo portato a casa subito e abbiamo fatto del nostro meglio per ripulirlo. Un paio di giorni dopo lo abbiamo portato in un ospedale privato dove ha subìto l’amputazione di una gamba. In seguito è rimasto un paio di anni e poi è deceduto qui da noi. Nel 2003, grazie a un’organizzazione americana, abbiamo costruito 10 casette capaci di ospitare tre anziani ciascuna e quello fu un decisivo miglioramento. La stessa organizzazione ha fornito regolarmente cibo e materiale di prima necessità. Tuttora riceviamo sempre da loro riso, fagioli e olio. È sempre stato difficile raccogliere fondi per gli anziani, ma la Provvidenza non ha mai mancato di intervenire e così abbiamo potuto mantenere i nostri “vecchietti” nel corso del tempo senza mai rifiutare accoglienza a chi era nel bisogno.
In questo momento abbiamo 27 persone che vivono qui: questa è la loro casa e ci prendiamo cura di tutto. Li portiamo in ospedale se hanno problemi di salute, hanno tre pasti al giorno e chi può esce per una passeggiata quando vuole. Sono in tre per ogni casetta e, quando qualcuno torna al Padre, organizziamo semplici funerali con servizio cattolico o protestante e poi il defunto è seppellito in un piccolo cimitero della zona. La Casa dei nonni è semplice, ma siamo riconosciuti come Fondazione dalle autorità locali e abbiamo il permesso per operare. Ci prendiamo cura degli anziani in tutti i loro bisogni in modo essenziale e diretto. Non abbiamo, per fare un esempio, condizionatori d’aria o letti ospedalieri o servizi igienici attrezzati, ma i costi di tutto questo sono proibitivi in un Paese dove anche il cibo quotidiano non è dato per scontato. Diciamo che vivono come se stessero nelle loro case di provincia, però hanno tutto il necessario per trascorrere in pace e serenità il tramonto della loro vita.
Gli ospiti della Casa dei nonni sono per lo più persone che non hanno famiglia e sono stati trovati per strada o ci sono stati mandati da realtà con le quali cooperiamo come le Suore di Madre Teresa, le Vincenziane o le Camilliane. Nel corso del tempo abbiamo ospitato centinaia di anziani: molti sono deceduti qui, altri se ne sono andati perché troppo abituati alla strada e qualcuno è stato “ritrovato” da familiari che non si erano fatti vivi prima perché impossibilitati a prendersi cura dei nonni a causa dell’estrema povertà.
Si tratta di donne e uomini, con un’età che varia fra i 50 e i 90 anni e più, che hanno vissuto una vita di stenti e, nella maggior parte dei casi, non hanno più famiglia o hanno perso i contatti.
Di solito non sono malati, ma sono senza dubbio “sciupati” da una vita difficile e ingrata. In molti casi sappiamo la loro storia, in altri non vogliono dire nulla e noi non li forziamo a farlo; molti di loro si aprono con il tempo e la fiducia. Alcuni sono cattolici, altri protestanti, battisti o altro ancora: ognuno segue la propria fede in libertà. Le loro giornate sono semplici. Gli uomini passano il tempo a giocare a domino e a discutere animatamente; le donne a pettinarsi, ascoltare radioline, a parlare fra di loro. Il cortile è spazioso con alberi che danno ombra e tutti godono del vocio allegro, dei canti e dei giochi dei bambini della nostra scuola.
La Casa dei nonni ha mantenuto lo spirito di Lakay Mwen, anche perché non ho mai voluto realizzare una struttura più grande e avere più anziani, per evitare che i rapporti si spersonalizzassero.
Grazie di offrire un aiuto e di sostenere i nostri nonni, dando loro più dignità e serenità al tramonto della loro vita. È un regalo prezioso.
COME AIUTARE: Fondazione Pime sostiene la “Casa dei nonni” attraverso il progetto di sostegno a distanza SAD P9000. Scopri qui come fare