Ad Haiti sono in corso da giorni violente manifestazioni per chiedere le dimissioni del presidente Jovenel Moise. Almeno 6 morti e molti feriti. Il racconto in diretta di Maurizio Barcaro, missionario laico legato al Pime
Già da settimana scorsa migliaia di haitiani hanno iniziato a manifestare chiedendo un’indagine sulla scomparsa di 3,8 miliardi di dollari destinati al Paese nell’ambito di Petrocaribe, un programma venezuelano di fornitura di petrolio. I manifestanti chiedevano un’indagine per corruzione verso 14 esponenti della passata amministrazione. Da domenica le proteste sono peggiorate e si sono intensificati gli scontri con la polizia. Gli haitiani ora chiedono anche le dimissione del presidente Jovenel Moise, accusato di non aver identificato i responsabili. Negli scontri hanno perso la vita una decina di persone e ci sono diversi feriti.
Riportiamo di seguito quanto ci scrive Maurizio Barcaro, missionario laico che vive e lavora a Port au Prince da quasi 25 anni.
«Probabilmente in Italia non ne avete sentito molto parlare. Di Haiti ci si ricorda solo in caso di cataclisma. Ma la situazione non è affatto buona. Da domenica scorsa tutto è paralizzato a causa di manifestazioni, barricate incendiate, qualche saccheggio, tra i sei e gli undici morti e i feriti. La polizia non riesce ad arginare le violenze, che sono in corso non solo a Port au Prince, ma in tutte le più grosse città di Haiti: Les Gonaïves, Cap-Haitïen, Jacmel, Les Cayes. Niente, invece, a Jeremie, lì tutti tranquilli.
Da domenica la situazione è andata degenerando. Forze politiche dell’opposizione e i manifestanti chiedono nè più nè meno che la destituzione del presidente. Per oggi è stato data una specie di ultimatum: o se ne va il presidente, o la situazione peggiorerà ulteriormente.
Da domenica siamo bloccati, non si può andare da nessuna parte in macchina. I miei ragazzi riescono a spostarsi solo in motocicletta. Vanno qua e là cercando, come tutti, di fare provviste: carne, uova, spezie e altro. I prezzi salgono, naturalmente. I venditori sono rimasti in pochi e scarseggia tutto visto che tutti sono chiusi e che persino i venditori ambulanti hanno paura di prendere la strada.
L’aeroporto è aperto: i soldati americani garantiscono la sicurezza e in teoria, per ora, nessun volo è bloccato. Ma ad ogni volo in partenza mancano molti passeggeri che non riescono ad arrivare in aeroporto: gli unici che ce l’hanno fatta sono arrivati in moto. Una mia amica che lavora per una compagnia aerea dominicana mi ha detto che il personale aeroportuale dorme in aeroporto o in un paio di hotel non lontani.
E, come se non bastasse, ci sono bande criminali di Cité Soleil e di La Saline, sobborghi di Port au Prince, che approfittano della situazione di caos e stanno combattendo tra di loro per il controllo di grossi mercati all’aperto. La polizia non è preparata per arginare completamente tutta questa violenza. Tutti aspettano la reazione del presidente, che ha promesso di parlare oggi alla nazione. Se dice che darà le dimissioni da domani, almeno in teoria, tutto tornerà alla normalità (relativa). Se invece non succede si parla di un peggioramento e di azioni ancora più radicali dei manifestanti. Quindi aspettiamo. Nel frattempo questa mattina c’e una calma relativa un po’ dappertutto».