Port-au-Prince sta protestando contro Jovenel Moïse il cui mandato sarebbe dovuto giungere al termine il 7 febbraio 2021. Ma il presidente sostiene di avere ancora un anno per stare alla guida del Paese e ha liquidato il parlamento. L’ennesima crisi politica nel Paese più povero dell’America Latina
Da settimane continuano gli scontri ad Haiti. Dopo le proteste del 14 febbraio, in migliaia sono scesi per le strade della capitale, Port-au-Prince, e di altre città per protestare contro il governo del presidente Jovenel Moïse.
Domenica 21 alcuni ufficiali della polizia, domandando condizioni di lavoro migliore, hanno circondato il quartier generale dell’esercito e aperto il fuoco. Il governo ha definito l’attacco “un tentativo di colpo di stato” e le forze armate hanno parlato di “situazione di guerra”: 23 persone sono state arrestate, incluso un giudice della Corte Suprema. Lunedì gli oppositori del governo hanno bloccato le strade chiave della città, spargendo mattoni, bruciando pneumatici e rovesciando carretti dei gelati nelle strade che portano alla casa del presidente.
La polizia ha risposto sparando gas lacrimogeni su centinaia di manifestanti che stavano marciando contro Moïse e ha attaccato i giornalisti che seguivano la manifestazione per poi sgomberare violentemente la folla; in diverse occasioni, è stata vista caricare membri della stampa chiaramente identificati.
La causa dei disordini è una disputa sulla legittimità del presidente Moïse. L’opposizione, infatti, sostiene che il mandato quinquennale sia giunto al termine il 7 febbraio 2021, cinque anni esatti da quando il suo predecessore, Michael Martelly, si è dimesso. Ma Moïse sostiene di avere ancora un anno a disposizione, dato che non è entrato in carica fino al febbraio 2017. Aveva infatti vinto il primo turno delle elezioni nell’ottobre 2015, ma queste erano state annullate per sospetti di frode e il ballottaggio presidenziale era stato rimandato più volte. Un nuovo voto si era tenuto nel novembre 2016 e aveva visto Moïse vincere con il 55,6% dei voti, entrando ufficialmente in carica il 7 febbraio 2017.
Il capo dello Stato, 52 anni, sta governando per decreto presidenziale da più di un anno dopo aver sciolto la maggioranza del parlamento nel gennaio 2020, in mezzo a un ritardo nelle elezioni legislative dovuto allo stallo politico e alle proteste che hanno paralizzato il Paese nel 2019. Ma l’opposizione anti-Moïse – composta da partiti politici ma anche da gruppi religiosi e della società civile, membri della magistratura e organizzazioni per i diritti umani – condanna la sua amministrazione come corrotta e irresponsabile e lo accusa di aver prolungato illegalmente il suo mandato.
Il presidente ha recentemente emesso dei decreti che hanno di fatto rimosso i giudici dalla Corte suprema, in violazione della Costituzione. Ha anche formato un consiglio elettorale e un comitato di consultazione per preparare una nuova Costituzione, per la quale prevede di tenere un referendum il 25 aprile, in quanto considerata ” una delle fonti delle crisi sociali, economiche e politiche che il Paese sta attualmente vivendo”.
Inoltre, come parte delle sue riforme, Moïse intende eliminare la posizione di primo ministro, una carica che secondo lui darebbe troppo potere a qualcuno che non è stato eletto direttamente; ma – secondo la Costituzione di Haiti – il primo ministro è responsabile nei confronti del Parlamento e non può essere licenziato dal presidente. Questa grave crisi politica è l’ennesima pagina nera per un Paese che resta uno dei più poveri al mondo. Il popolo haitiano sta cercando il sostegno della comunità internazionale, ma gli Stati Uniti e l’Organizzazione degli Stati Americani ancora non riconoscono la fine del mandato di Moïse.