L’EDITORIALE:
«Faceva politica? Ma non c’è alcun dubbio! Nel senso però della difesa dei poveri, della giustizia, della riconciliazione nazionale. Ed è sbagliato stare alla larga dalla politica»
L’arcivescovo Oscar Romero (1917-1980) di El Salvador sarà ufficialmente dichiarato martire e beato il 23 maggio. Fu ucciso 35 anni fa nel contesto della contrapposizione ideologica e della guerra civile che dilaniò il suo e molti altri Paesi nel corso degli ultimi due decenni della guerra fredda (fino al 1990 circa).
Incapace di identificarsi con alcuna delle forze in campo e con gli interessi astratti e concreti di cui erano portatrici, Romero ha finito come tutti i martiri cristiani per proclamare unicamente il Vangelo e la missione della Chiesa: dialogo, riconciliazione, giustizia. Essendo le vittime del conflitto figli di Dio, poteva solo essere per lui un piccolo atto di riparazione l’annunciarne ogni domenica il nome nella cattedrale della città. Il richiamo cristiano, però, in quegli anni era scomodo sia a destra che a sinistra. La conversione del cuore non era nell’agenda delle opposte fazioni. Lo erano la sopraffazione reciproca e il controllo della società con le sue istituzioni. Solo dopo il suo successo il vincitore avrebbe imposto le sue condizioni ed assicurato ai vinti una sopravvivenza sottomessa. Romero e i martiri cristiani, insieme a molti altri per fortuna, dicevano invece che la gente doveva essere rispettata e aveva diritto a decidere per sé, non in base agli interessi dei sovietici, degli americani o dei loro padrini locali.
Qualche risultato si è visto. Dopo la mattanza la maggior parte dei Paesi in tutti i continenti è riuscita a organizzare elezioni più o meno libere anche più di una volta. Per quasi un ventennio governi molto imparentati coi vecchi padroni, soprattutto di destra, purtroppo hanno conservato il potere, ma in anni più recenti forze più sensibili a una maggiore equità sociale si sono imposte. Solo Cuba e alcuni suoi parenti asiatici non hanno ancora organizzato elezioni di alcun tipo. Non di bassa politica tuttavia vogliamo occuparci.
Ci interessa piuttosto la testimonianza di Romero per l’indicazione che le circostanze della sua morte contengono: nel momento della proclamazione della Parola di Dio, mentre celebra l’eucaristia, con una comunità. Era in una piccola cappella di suore in quel momento. Ma era alla domenica in cattedrale che edificava la comunità nazionale. Faceva politica? Ma non c’è alcun dubbio! Nel senso però della difesa dei poveri, della giustizia, della riconciliazione nazionale. È sbagliato stare alla larga dalla politica.
Ne approfittano gli opportunisti e i corrotti, gli spregiudicati e i pregiudicati. È sbagliato anche credere che la buona politica non abbia un prezzo. Ce l’ha e come. Anche da noi. Ne è prova il fatto che mentre la Chiesa salvadoregna riconosce il martirio di Romero, quella italiana si prepara a fare lo stesso. Per don Sandro Dordi, bergamasco, ucciso da Sendero Luminoso in Perù nel 1991, che sarà beatificato a dicembre. E più avanti probabilmente per don Giuseppe Diana, freddato dalla camorra in una sacrestia di Casal di Principe nel 1994. Sulla stessa linea del già beato don Pino Puglisi, martire a Palermo nel 1993 per i suoi ragazzi e il loro futuro.