Ha fatto notizia per il successo di Jimmy Morales alle elezioni. Ma dietro c’è un Paese ancora vittima dell’ingiustizia, della criminalità e dell’impunità. Le stesse piaghe la cui denuncia nel 1998 costò la vita al vescovo martire monsignor Juan José Gerardi
In lingua náhuatl, quauhtlemallah significa “luogo dai molti alberi”. Il verde del Guatemala lascia infatti stupefatto chi lo visita. Una bellezza che contrasta col triste primato di far parte, stando all’Onu, del triangolo oggi piú pericoloso del pianeta, quello formato insieme all’Honduras e a El Salvador. Nel 2011 il Guatemala ha registrato 39 omicidi ogni 100.000 abitanti, 69 il Salvador e 92 l’Honduras. Tre Paesi con un passato di lunghe guerre civili – quella guatemalteca è durata tra il 1960 ed il 1996 – la cui manovalanza é poi passata in gran parte a ingrossare le fila di grosse bande criminali, le maras, che oggi rendono la regione piú pericolosa di varie zone di guerra del pianeta.
È da questo triangolo che a diecine di migliaia le persone fuggono dalla violenza inseguendo il sogno di entrare negli Stati Uniti, attraversando tutto il Messico. Un esodo quasi occulto dalle dimensioni di un’emergenza umanitaria, di cui approfittano i narcos e la tratta di persone.
Nel Paese vige un coprifuoco ufficioso a partire dalle 18, quando – come viene raccomandato ai turisti – se non é necessario è meglio non uscire. Una violenza che non cessa e che negli anni della guerra civile si accaní contro varie etnie maya, specialmente durante la presidenza di Efraín Ríos Montt. Questo anziano militare si è salvato dall’ergastolo per i massacri perpetrati sotto la sua responsabilitá grazie a una giustizia compiacente. Ne fu testimone monsignor Juan José Gerardi, figlio di italiani, e vescovo impegnato nella difesa dei diritti umani. Tra i redattori del dossier “Guatemala: nunca más” (mai piú) che ricostruiva il calvario delle vittime della repressione. Gerardi venne ucciso nel 1998, due giorni dopo la pubblicazione del dossier. Uno degli ufficiali di Ríos Montt, Otto Pérez Molina, coinvolto in vari episodi oscuri, tra i quali proprio l’assassinio di mons. Gerardi, nel 2011 si trasformó in presidente del Guatemala. Quasi una beffa.
È un pezzo di storia di un Paese amministrato per il beneficio di alcuni, tutti difensori del libero mercato, e con livelli di miseria al di sopra della media latinoamericana: piú del 40% della popolazione é povera ed il 13% è indigente. Uno Stato spesso assente si occupa solo del 18% delle istituzioni educative, lasciando il resto in mano privata.
Ma tutto ha un limite. La corruzione sfacciata ha suscitato l’indignazione di una societá civile che in questi mesi non solo è scesa in strada per protestare, ma ha ottenuto l’istituzione di una Commissione Internazionale contro l’impunitá che – in collaborazione con la Procura Generale – ha investigato le reti di corruzione che hanno mandato in carcere il proprio l’ex presidente Otto Molina e la sua vice, Roxana Baldetti.
La vittoria elettorale di Jimmy Morales – un outsider della politica, proveniente dal mondo dello spettacolo televisivo che nel ballotaggio del 25 ottobre ha raccolto quasi il 68% dei voti – si spiega in questo contesto di indignazione nei confronti del settore politico nel quale ha fatto presa un volto popolare con lo slogan “né corrotto, né ladro”. Legato al mondo delle chiese evangeliche – ha in tasca il titolo di professore in teologia ottenuto presso un seminario battista – e portatore di un messaggio moralizzante e nazionalista, Morales nega l’appoggio di settori militari ultraconservatori, quelli che disdegano le accuse di violazioni dei diritti umani durante la guerra civile, salvo poi presentare un messaggio in consonanza con le loro idee politiche. Il che spiega una certa ambiguitá quando il nuovo presidente si pronuncia in merito.
Avrá modo di rinnovare la politica e la capacitá di gestire un Paese con una economia esausta? Non pare una impresa facile disponendo di una esigua minoranza in Parlamento, dove il suo partito rappresenta appena il 7 per cento. La novitá, ad ogni modo, consiste nella maggiore vigilanza di una societá civile che ha dimostrato coscienza civica. Un risveglio che potrebbe contribuire al ricambio della dirigenza del Paese.