Sabato comincia il viaggio di papa di Francesco nell’isola caraibica. Una visita pastorale che si intreccia col disgelo tra Cuba e Stati Uniti, ma anche con altri processi politici in atto nel Continente
Nonostante la visita del Papa a Cuba – che comincerà sabato – sia senz’altro di carattere pastorale, a nessuno puó sfuggire che esiste anche una dimensione politica di questo viaggio, che si proietta fuori dall’isola nei rapporti di Cuba con gli Stati Uniti e della superpotenza globale con l’intera regione latinoamericana.
Dopo la visita di Giovanni Paolo II, nel 1998, il rapporto del regime con la Chiesa locale ha seguito una linea evolutiva di dialogo che nel 2010 contribuí alla scarcerazione di numerosi detenuti politici. Questo rapporto che qualcuno non esita a definire “positivo e cordiale”, ha permesso di ottenere risultati rispetto alle possibilità per la Chiesa di svolgere il proprio ministero: sono stati restituiti edifici di culto, terreni e immobili espropriati dalla rivoluzione. Per la prima volta dal 1959 è stata autorizzata la costruzione di due nuove chiese. È stata autorizzata la presenza di religiose negli ospedali e sono in corso progetti educativi e di sviluppo portati avanti da organizzazioni ecclesiali. Le piú di 300 parrocchie e il migliaio circa di sacerdoti, religiose e religiosi, nella visione del Papa, sono una forza che, insieme alla societá civile, puó contrubuire al processo di cambiamento che sta coinvolgendo l’isola.
Se questo vale sul piano locale, da abilissimo politico qual è Jorge Mario Bergoglio non sfugge certo il ruolo che Cuba sta assumendo sul piano regionale. Intanto l’isola sta svolgendo da sede e da garante dei negoziati di pace dell’unico conflitto armato della regione, quello colombiano. Da piú di 50 anni la guerriglia delle Farc e il governo sono invischiati in una guerra civile che ha provocato piú di 200 mila vittime e diversi milioni di sfollati (5,6 milioni i rifugiati in Venezuela). I guerriglieri hanno espresso il desiderio di un incontro col Papa e occorre ricordare che mettere fine al conflitto significherebbe smantellare organizzazioni che da anni agiscono anche come gruppi criminali dediti al narcotraffico, spesso in zone di frontiera (sopratutto tra Colombia, Venezuela ed Ecuador). Sarebbe dunque un importante beneficio per la regione.
Il processo di normalizzazione dei rapporti tra L’Avana e Washington, avviene in parallelo a un processo nel quale la Casa Bianca appare impegnata a migliorare, dopo tante tensioni, anche i rapporti con Brasile, Venezuela e Bolivia. Bergoglio sa che ormai da anni i Paesi della regione hanno smesso di prendere ordini da Washington, come succedeva nel passato, quando i desiderata della Casa Bianca potevano determinare la scelta o meno di un ministro in vari Paesi. Lo strappo vero avvenne nel 2004, quando venne smantellato il progetto di un’area di libero commercio dall’Alaska alla Patagonia, considerata a tutto vantaggio degli Stati Uniti. Probabilmente, l’incremento dei rapporti di questa regione con Cina e Russia suscita qualche preoccupazione alla Casa Bianca, e questo potrebbe aiutare a capire il cambio di strategia in atto.
Cosciente dell’esistenza di questi giochi di interessi, é molto probabile che il Papa – direttamente oppure no – si trasformi in un facilitatore di relazioni che potrebbero essere certamente ancora piú amichevoli e di cooperazione. Non è da escludere che sia Bergoglio sia gran parte dei Governi della regione in questa visita – che abbraccia anche le tappe negli Stati Uniti e all’ONU – vedano un’opportunitá per avanzare lungo il sentiero di un dialogo piú fecondo, capace di aprire spazi di cooperazione impensati.