Lo scorso 21 febbraio i boliviani hanno bocciato il referendum costituzionale per l’introduzione della rieleggibilità a oltranza del presidente. Un duro colpo per Evo Morales e per il partito di maggioranza MAS che ora dovrà cominciare una riflessione politica per evitare un crollo di consensi alle prossime elezioni.
I boliviani hanno detto no alla riforma costituzionale che, se approvata, avrebbe introdotto la rieleggibilitá a oltranza delle principali cariche politiche del Paese, a partire dal presidente e dal suo vice. Il 51,29 per cento della popolazione che ha partecipato al referendum dello scorso 21 febbraio ha espresso parere negativo alle urne, mentre solo il 48,71 per cento ha votato per il sí.
L’idea di lanciare una consultazione popolare è nata mesi fa per volontà dei gruppi sociali che appoggiano la maggioranza di governo del Movimiento Al Socialismo (MAS), il partito del presidente Evo Morales, al governo dal 2007 e che concluderá il suo mandato fra tre anni. Nel caso la proposta di legge fosse stata accolta col referendum, una norma transitoria avrebbe consentito una proroga al suo terzo mandato per arrivare fino al 2025.
La sconfitta elettorale subita domenica scorsa, la prima in 9 anni, è dunque cocente per il Presidente boliviano soprattutto se si tiene conto che un anno e mezzo fa Morales aveva vinto le elezioni col 61 per cento dei voti, espugnando anche le tradizionaliopposizioni.
A incidere sul brusco calo di consensi del partito del presidente, sono soprattutto due fattori. Prima di tutto, è apparso chiaro ai cittadini che la proposta di riforma stava rispondendo a un problema interno del MAS entro i cui confini non sono emerse figure capaci di dare continuitá al progetto politico. Modificare la Costituzione per mancanza di strategia è senz’altro sembrato agli elettori un rimedio politicamente grossolano.
In seconda battuta, sono emersi segni di logorio all’interno del MAS, il peggiore dei quali è lo spettro della corruzione. Tra i tanti scandali recentemente venuti alla luce, la spartizione tra 200 dirigenti e sindacalisti affini o membri del MAS di 30 milioni di euro di fondi destinati a comunitá indigene. Sempre per corruzione è finito in carcere un altro dirigente del partito, giá sindaco di El Alto, la seconda cittá del Paese. Anche a livello locale gli amministratori hanno deluso le attese degli elettori e si sono rivelati spesso pessime scelte. Sul piano piú personale, durante la campagna per il referendum lo stesso presidente – che è scapolo – è stato messo in imbarazzo dall’accusa di aver favorito una sua ex che oggi firma contratti milionari con lo Stato in qualità di dirigente di una florida multinazionale cinese. Sempre in questi ultimi mesi si è scoperto che il “plurilaureato” vice presidente Álvaro García Linera in realtá non ha nemmeno concluso gli studi.
Ma il principale errore commesso in questi anni dalla maggioranza è stata la pretesa di trasformare il proprio progetto politico in un’egemonia ideologica da imporre alle urne. Come succede a tutti gli ideologismi, però, essi finiscono quando la gente acquisisce una certa coscienza politica.
Ció nonostante, non si può ancora parlare dell’inizio della fine di un ciclo. La corruzione non è infatti una novitá in Bolivia: in passato questo vizio ha raggiunto livelli ben piú alti, arrivando a vincolare il Paese ad interessi esterni. Se da una parte conviene non abbassare la guardia, generalizzare il fenomeno pare ancora esagerato.
In secondo luogo, in questi anni la Bolivia ha cambiato profondamente il suo volto. Gli indicatori sociali registrano progressi storici. Dall’essere considerata uno dei Paesi piú poveri dell’America latina, la Bolivia oggi è passata a tutt’altro dinamismo. Il pil procapite è raddoppiato e si sono moltiplicare le risorse pubbliche, grazie alla politica di gestione delle risorse naturali (fondamentalmente gas, ma anche petrolio e minerali vari). Questo ha consentito di finanziare istruzione, sanitá, case, infrastrutture civili e di migliorare la qualitá di vita di milioni di cittadini, in particolare delle comunitá indegene i cui discendenti contano nel Paese circa il 66 per cento di abitanti. Eppure in passato, la discriminazione sociale impediva l’accesso degli indigeni al centro storico della capitale La Paz.
Mai come in questi anni, esclusi ed emarginati si sono sentiti parte di un processo di sviluppo e di inclusione. Pensare dunque che un processo del genere debba la sua spinta solo alla figura, per quanto carismatica, del presidente sarebbe un errore.
Ecco perché l’opposizione avrá molto da lavorare per articolare una proposta alternativa che non susctiti il timore di vanificare le conquiste sociali ed economiche ottenute. Da parte sua, la maggioranza dovrá invece dimostrare di avere figure capaci di continuare la strada intrapresa, senza tuttavia far leva sulla contrapposizione ideologica che non convince più i boliviani.