La famiglia, le fragilità nelle situazioni matrimoniali, l’ideologia del gender predicata dai media brasiliani: mons. José Negri, vescovo coadiutore della diocesi di Santo Amaro, racconta la vigilia del Sinodo sulla famiglia vista dalla periferia di San Paolo
da San Paolo (Brasile)
La diocesi di Santo Amaro è un susseguirsi senza termine di favelas e rari spazi di verde fino alla periferia meridionale di San Paolo dove il governo ancora protegge delle piccole colonie di indigeni guaranì. Centoventi parrocchie, le più piccole di 20 mila abitanti, le più grandi oltre i 100 mila. Circa 220 sacerdoti e religiosi a capo dei quali arriva a pieno titolo a fine anno il cinquantaseienne vescovo milanese José Negri del PIME, già coadiutore con diritto di successione nella stessa diocesi paulista.
Gli abbiamo posto alcune domande sulla situazione generale della Chiesa cattolica in Brasile ed in particolare nella grande metropoli di San Paolo.
Il primo pensiero è al prossimo sinodo sulla famiglia…
Dal punto di vista pastorale la questione è anche pratica. Non possiamo più dire a decine di milioni di persone nel mondo che non possono leggere in chiesa, insegnare il catechismo, fare i padrini e le madrine di battesimo a causa della loro situazione matrimoniale; come possiamo continuare a fare le prime comunioni quando i genitori e i parenti dei bambini nella stessa cerimonia devono astenersi dal Corpo e dal Sangue di Cristo? È tutta gente che poi da noi si allontana. Si sente meglio accolta altrove. La gente ormai si aspetta delle risposte. Il Sinodo e il Papa devono dire qualcosa.
Cos’è che rema contro la famiglia oggi in Brasile?
Tutto. A cominciare dalla cultura e dalla pratica antica dei colonizzatori portoghesi che erano di fatto poligami. Oggi naturalmente i media, soprattutto la televisione. Proprio ora è in voga la telenovela di due anziane lesbiche e la loro avventura “matrimoniale”. Il governo poi ha tentato in tutti modi di introdurre nel sistema educativo l’ideologia del gender, ma il Parlamento l’ha respinta. Hanno tentato allora di farla passare attraverso i consigli municipali. Ma almeno a San Paolo tre quarti di essi (circa 450) l’hanno bocciata in seguito ad un solida mobilitazione dei laici cattolici.
Di che tipo di laici si tratta?
Soprattutto carismatici e movimenti familiari. Sono al momento i gruppi più attivi e più numerosi. Riflettono la tendenza generale della società ad esprimere una spiritualità più evangelica e pentecostale con il canto e la vicinanza reciproca. Apparentemente è una pastorale di successo. L’esponente più tipico di essa, padre Marcelo Rossi, risiede proprio nella mia diocesi e la sua Messa con migliaia di persone da tutto il Brasile è trasmessa ogni domenica alle sei del mattino dalla più grande rete televisiva nazionale (Globo). Anche nuove congregazioni di questo tipo e di stampo, diciamo così, conservatore hanno molti aspiranti e membri in Brasile.
Che ne è della pastorale sociale?
In passato era abbastanza identificata con la Teologia della Liberazione. Poi questa è stata osteggiata sia dai vescovi che dai laici. Si sono perse molte iniziative di base che magari hanno continuato a vivere e svilupparsi, ma in modo autonomo e senza un aggancio diretto alla Chiesa. Ora la pastorale sociale è ancora massiccia, ma è svolta o promossa soprattutto dai religiosi. Le grandi linee di azione sono la cura dei bambini di strada, l’accoglienza dei senza casa, il recupero dei tossicodipendenti (milioni in Brasile, una vera emergenza nazionale), la difesa della terra e delle popolazioni indigene, l’insegnamento, varie forme di pastorale della salute…
La diocesi di Santo Amaro ha bisogno di una grande sforzo missionario. Ma pensate anche all’attività missionaria fuori dai vostri confini nel nord del Brasile o altrove?
Alcuni sacerdoti si stanno preparando. Non pensiamo però di agire da soli, ma insieme alle altre diocesi dell’area di San Paolo, otto in tutto. Abbiamo un impegno in Mozambico in una diocesi retta da un vescovo brasiliano. Il grande vantaggio della diocesi di Santo Amaro è di avere avuto un Istituto missionario come il Pime da settant’anni. Quando domando a questo riguardo al popolo, molte persone si ricordano del Pime attraverso le grandi figure di missionari che sono passati di qui e le opere sociali realizzate e che hanno avuto continuità. Assieme all’annuncio missionario, qui è stato realizzato un lavoro meraviglioso di promozione umana. La realtà delle “favelas” della periferia della grande San Paolo ci spinge necessariamente a lavorare come missionari “senza dimenticare i poveri” (Papa Francesco). La presenza di missionari che sono venuti da altri paesi per evangelizzare qui in Brasile è una ricchezza e un incentivo molto grande, sia per il nostro popolo, che vede in loro una forma concreta di essere missionari, sia anche per il clero locale, che ha la possibilità di capire la realtà della Chiesa fuori dai limiti della propria diocesi. Sono arrivato in questa diocesi da pochi mesi, ma questo poco tempo è stato sufficiente per percepire come i nostri missionari sono ben inseriti col clero diocesano, con quello degli altri istituti e le varie foranie, perché il Pime “è di casa”. La nostra presenza Pime sarebbe più significativa se una delle nostre parrocchie fosse trasformata in un Centro Missionario, un centro di irradiazione missionaria per tutta la diocesi. Per ora, sogniamo.