L’Hospedaria de Immigrantes de Sao Paulo per decenni ha accolto gli immigrati italiani. Finito in abbandono è rinato grazie al Sermig di Torino e oggi dà una speranza agli africani giunti fino a qui…
da San Paolo (Brasile)
“Era un complesso abbandonato da vent’anni, che il governo non sapeva come utilizzare e a chi affidarlo. Il compianto mons. Luciano Mendes de Almeida è venuto a saperlo ed ha pensato a noi del Sermig (Servizio Missionario Giovanile, ndr) di Torino. Ci conosceva e sapeva dell’arsenale che avevamo restaurato nella nostra città e trasformato in centro di accoglienza per i meno fortunati”. A parlare è Giancarlo Mellino, piemontese, responsabile della prima ora (1996) dell’Arsenale di San Paolo, che originariamente non era qui una struttura militare come nel capoluogo piemontese, ma la Hospedaria de Immigrantes de Sao Paulo. Costruito nel 1886 ed inaugurato l’anno seguente il complesso è legato soprattutto all’immigrazione italiana in Brasile: un milione di nostri connazionali da allora fino al 1970 circa. Ma anche portoghesi, croati, lituani, giapponesi, fino all’ultimo gruppo di coreani prima che per qualche anno il centro fosse adibito alla prima accoglienza degli immigrati dal nordest brasiliano. Poi l’abbandono.
Incredibilmente la necessità di accogliere i migranti torna proprio in questi giorni. “Abbiamo quasi 200 uomini all’Africa occidentale – dice Giancarlo -. Ogni giorno ne arrivano di nuovi. Il Brasile li accoglie come “rifugiati politici” e chi non ha già contatti ed accoglienza finisce qui. Sono persone istruite dal Burkina Faso, Mali, Costa d’Avorio, Camerun, Guinea Bissau…”. L’Arsenale della Speranza, così il Sermig ha ribattezzato la vechia Hospedaria de Immigrantes, per il resto ospita una popolazione solo maschile e adulta di circa un migliaio di persone.
Giancarlo è fiducioso, ma non sa quanto potrà durare dovesse dipendere solo da calcoli umani. Con la municipalità il Sermig ha un accordo di comodato per altri quindici anni, ma il contributo finanziario pubblico è insufficiente. Eppure il governo ha censito circa 16 mila persone senza tetto a San Paolo, una cifra certo per difetto in una città ancora in espansione di 22 milioni circa di abitanti.
Nonostante tutto all’Arsenale regna una serenità quasi surreale. Tutto è ordinato, accogliente e fraterno. Il giovane Marco Vitale, giovane ingegnere cremonese e membro della piccola comunità consacrati del Sermig, non nasconde qualche problema di alcol (gli adulti) e di droga (i giovani) al rientro degli ospiti nel pomeriggio, ma per il resto tutto sembra dare ragione all’ottimismo pacato di Giancarlo: “Non abbiamo mai avuto un incidente serio in 19 anni”. Eppure sono passate ormai 50.000 persone diverse come i registri accuratissimi attestano. All’Arsenale ogni forma pubblica di professione di fede e di preghiera è proibita dalla legislazione statale, ma la piccola “Fraternità della Speranza del Sermig”, membri italiani e brasiliani, celibi e sposati, si incontra regolarmente con gli ospiti in una cappella aperta a tutti. Il tabernacolo per l’Eucaristia è ricavato da un residuato bellico recuperato dall’antico arsenale di Torino.
Ale 4:30 del mattino la mensa è già aperta per la colazione e gli ospiti cominciano a lasciare il rifugio. La maggior parte si disperdono nell’immensa città. Hanno già un lavoro da qualche parte o vanno in cerca di qualcosa. Rientreranno nel pomeriggio per la doccia, la cena e il riposo. Solo 200 persone circa rimangono durante la giornata all’Arsenale per le pulizie, per piccoli lavori che il centro promuove anche per il proprio sostentamento o per brevi corsi di avviamento al lavoro (panettieri, carpentieri, elettricisti, informatici…).
“Non devono stabilirsi qui, dice Giancarlo, non lo vogliamo ed abbiamo assistenti sociali che aiutano i più fragili a trovare una soluzione e rendersi responsabili della propria vita”. Salvo rarissimi casi, quindi, la permanenza media all’Arsenale è di otto o dieci mesi circa; ma c’è naturalmente anche chi si ferma pochi giorni o poche settimane.
Giancarlo dà alcuni numeri che indicano l’impegno di solidarietà e fraternità a sua volta voluto dal vescovo Luciano Mendes de Almeida per il quale è stata recentemente avviata la causa di beatificazione: 3000 pasti al giorno, 220 chili di riso, 50 chili di fagioli. L’Arsenale ha 130 addetti stipendiati. Dom Luciano era di casa all’Arsenale anche dopo che era stato promosso da vescovo ausiliare di San Paolo ad arcivescovo di Mariana, nello stato federale di Minas Gerais, ed era Presidente della Conferenza Episcopale del Brasile. La sua camera è ora la cappella della comunità Sermig. Pregano dove lui era solito ritirarsi e da lì ripartono ogni giorno per il servizio agli ultimi di San Paolo.
Nonostante le politiche sociali dell’attuale Partito dei Lavoratori al potere, la situazione di droga e criminalità è tale per cui il governo pensa di portare da 18 a 16 l’età in cui i minori possono essere messi in carcere anziché affidati ai servizi sociali. L’80% dei brasiliani impauriti preoccupati sono d’accordo. Per chi si occupa di “dare speranza” il lavoro a San Paolo quindi non manca. E’ forse più di quello necessario al tempo in cui sul Brasile si riversavano milioni di immigrati senza nulla appunto se non la speranza di una nuova vita.