Il vescovo Giuliano Frigeni, missionario del Pime da vent’anni alla guida della diocesi brasiliana: «È la prima volta che si prova a guardare all’Amazzonia non solo per dire: poverini, mandiamogli un po’ di soldi. L’ipotesi dell’ordinazione sacerdotale per anziani con famiglia nelle comunità indigene? Non faranno i parroci, ma perché non pensare a un ministero speciale, originale ed eccezionale, che garantisca l’eucaristia a questa gente?»
Da quando qualche giorno fa è stato pubblicato l’Instrumentum laboris del Sinodo dell’Amazzonia – che riassume il lavoro preparatorio svolto nelle diocesi locali in vista dell’appuntamento voluto dal Papa per il mese di ottobre – sul web fioccano analisi a tavolino, scritte a migliaia di chilometri di distanza, in cui si fantastica addirittura di complotti ecclesiali e di presunte eresie che sarebbero contenute nel documento.
La cosa più antipatica è che in questi dibattiti mediatici di tutto si parla tranne che della vita concreta delle comunità dell’Amazzonia. Pare che la vecchia regola di andare sul posto, provare a capire i contesti e le sfide di oggi per una determinata comunità e solo dopo esprimere un giudizio sia qualcosa di ormai superato nell’era della blogosfera cattolica.
Per questo dal numero di giugno-luglio di Mondo e Missione ci permettiamo di rilanciare una voce che abbiamo raccolto sul posto, a Parintins, la diocesi nel cuore dell’Amazzonia che tanto ha significato per la vita del Pime. Ci siamo stati alcuni mesi fa, è stato percorrendo i suoi fiumi che abbiamo capito che no, dedicare un Sinodo all’Amazzonia non è affatto il colpo di testa di un Pontefice naive o un sotterfugio per imporre agende ecclesiali nate altrove. È semplicemente ascoltare un’area del mondo che per mille motivi oggi è alle prese con sfide decisive per un futuro che riguarda anche noi.
Ecco, Parintins forse è il luogo ideale per chi vuole provare a capire qualcosa sul Sinodo dell’Amazzonia senza pre-comprensioni ideologiche. Perché è una realtà che ha conosciuto e conosce ancora oggi pagine eroiche di testimonianza evangelica. Quando i missionari del Pime arrivarono settant’anni fa in questo territorio grande come un quarto dell’Italia la Chiesa praticamente non c’era. Sono stati loro a dare forma a una comunità, andando avanti indietro sul grande fiume, a volte anche morendo di stenti a causa di condizioni di vita durissime. «Parintins è cresciuta con la loro enorme creatività», racconta il vescovo mons. Giuliano Frigeni, da quarant’anni in Amazzonia e da venti ormai alla guida di questa comunità. Il tutto con un metodo propriamente missionario: «Annuncio del Vangelo e promozione umana, valorizzando i laici appartenenti alla congregazione mariana e altri movimenti ricchi di spiritualità, creando varie comunità rurali nella foresta, le famose agroville».
A Parintins è un seme che ha portato frutto: una delle ricchezze che distingue questa diocesi in Amazzonia è la presenza di un clero locale. Nel 2000 è stato ordinato il primo sacerdote, oggi sono già una quindicina e gradualmente stanno prendendo il posto dei missionari del Pime, come è nella logica di un istituto missionario chiamato a impiantare una Chiesa e poi spostarsi altrove, dove c’è ancora più bisogno. Anche qui, però, le sfide restano grandi perché sul fiume le città crescono, l’emergenza educativa nelle periferie è profonda. E poi ci sono le comunità degli indios nei villaggi dei rami più isolati del grande fiume, dove anche con le barche più veloci tuttora il sacerdote può arrivare solo due o tre volte all’anno a celebrare l’Eucaristia. Lo raccontavamo già qualche mese fa su Mondo e Missione in questo reportage su padre Enrico Uggè e il suo ministero accanto agli indios Sateré Mawé. Per questo sì, anche a Parintins ci si interroga sui «nuovi cammini per la Chiesa» evocati dal Sinodo. E non si grida affatto ai complotti ideologici.
«È la prima volta che si prova a guardare all’Amazzonia non solo per dire: poverini, mandiamogli un po’ di soldi – spiega mons. Frigeni -. No, la logica che il Papa ha voluto è partire dalle risorse umane che ci sono, valorizzare davvero quelle, con nuovi cammini e anche il coraggio di osare nella difesa dell’ambiente con un’ecologia integrale come risposta a progetti criminali che parlano di sviluppo ma in realtà cercano solo proventi miliardari distruggendo l’ecosistema».
Ed è proprio in quest’ottica che il vescovo di Parintins invita a leggere anche il tema che più sta sollevando polemiche nel mondo ecclesiale: quello delle possibili nuove forme di ministero ordinato per la Chiesa dell’Amazzonia, che il Sinodo sta ipotizzando come risposta al problema delle distanze e delle oggettive difficoltà a raggiungere tutti. In altri termini «la possibilità di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalla loro comunità, sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabile, al fine di assicurare i sacramenti che accompagnano e sostengono la vita cristiana», per usare le parole contenute al numero 129 dell’Instrumentum Laboris.
«Penso a gente che sia cristiana nella vita, nella famiglia, nel lavoro – commenta Frigeni -. Ho in mente per esempio i genitori di un prete che ho ordinato l’anno scorso: quando vado ad amministrare le cresime nella zona dove vivono loro è uno spettacolo vedere come preparano le persone adulte e i giovani. A gente così, con una famiglia sulle spalle, non puoi dire: vai a studiare alcuni anni in seminario e poi ti ordino prete. Non faranno i parroci, ma perché non pensare a un ministero speciale, originale ed eccezionale, che garantisca l’eucaristia a questa gente?».
Questo è ciò di cui si sta discutendo in Amazzonia in vista del Sinodo. Tutto il resto sono solo polemiche vuote.