Dall’appuntamento con le urne, segnato dall’uccisione del candidato anti-corruzione Fernando Villavicendio, lo spaccato di un Paese un tempo modello e oggi divenuto crocevia della cocaina. A ottobre al ballottaggio si confronteranno un’economista erede di Correa e il figlio di un potente uomo d’affari. Intanto la popolazione ha detto «no» all’estrazione del petrolio in Amazzonia
Oltre 100.000 uomini con 4.888 veicoli, 4.800 motociclette, tre veicoli blindati e sette aerei per proteggere il voto in Ecuador. Nel piccolo Paese del Sudamerica le elezioni presidenziali segnate dall’uccisione il 9 agosto del candidato Fernando Villavicencio – 59 anni, giornalista autore di numerosi reportage di denuncia della corruzione che correva per il movimento centrista Construye – hanno visto Luisa González (nella foto) del partito di sinistra Revolución Ciudadana, raggiungere il 33%, e Daniel Noboa di Alleanza Nazional Democratica, il 24,35%. I contendenti, dopo il primo turno di domenica 20 agosto al quale hanno preso parte più del 70% degli aventi diritto al voto, dovranno aspettare il ballottaggio del 15 ottobre per sapere chi guiderà l’Ecuador.
L’ex Paese modello dell’America Latina in tema di pace e sviluppo sociale, è piombato in un incubo a causa del narcotraffico dei cartelli messicani e colombiani che si contendono la piazza. Nel 2022 ha registrato un tasso record di 25,32 morti violente ogni 100.000 abitanti. L’80% è legato al traffico di droga, un mercato che dal Messico si muove strategicamente in questo Paese affacciato sul Pacifico, epicentro per la vendita e smercio della cocaina con America ed Europa. Erano le denunce che Fernando Villavicencio aveva rivelato nei suoi libri e nell’ultima intervista tv prima dell’attentato. «Cocaina, sfruttamento delle miniere e corruzione sono le tre mafie dell’Ecuador», spiegava il candidato ammazzato dopo un comizio a Quito. Prima di lui Augustín Intriaga, sindaco della città portuale di Manta, era stato freddato il 24 luglio; poi Ríder Sánchez, che correva come deputato mentre, a ferragosto, Pedro Briones, leader di Revolución Ciudadana (il movimento dell’ex presidente Rafael Correa) sono stati uccisi dalla violenza dei narcos.
L’analisi degli opinionisti è che la violenza è frutto dell’alleanza perversa tra l’estrema sinistra e il traffico di stupefacenti; con i soldi della droga hanno comprato gran parte delle istituzioni, compresa la Giustizia. Quest’analisi amara è condivisa da Lourdes Luque, attivista di un movimento, Dialogo Vitales, che punta alla ricostruzione dell’Ecuador con l’università, il mondo del lavoro, la cittadinanza, gli studenti. «I cittadini devono essere uniti per costruire insieme un Paese nell’uguaglianza per il bene comune», afferma la rappresentante preoccupata per il futuro del suo popolo. Una preoccupazione che non ha risparmiato Christian Zurita, il candidato che ha sostituito Fernando Villavicencio. Con elmetto militare e giubbotto antiproiettile, è stato scorato dai soldati al seggio elettorale poiché minacciato di morte dai narcos. Zurita, con il 16%, ha ottenuto il terzo posto alle elezioni, dichiarando che il lavoro del movimento politico non si fermerà.
Nel frattempo nel referendum tenuto insieme alle elezioni del 20 agosto l’Ecuador ha stabilito anche un precedente mondiale, decidendo attraverso un plebiscito lo stop allo sfruttamento del petrolio da uno dei suoi più grandi giacimenti situato nel Parco Nazionale Yasuní, cuore dell’Amazzonia ecuadoriana, uno degli epicentri mondiali della biodiversità dove vivono popolazioni indigene minacciate dalle trivellazioni.
Adesso toccherà a Luisa González, 45 anni, pedina di Rafael Correa (economista, presidente dell’Ecuador dal 2007 al 2017, accusato di corruzione e attualmente in Belgio come rifugiato politico) ed a Noboa Azín, 35 anni (figlio dell’uomo d’affari ed ex candidato cinque volte alla presidenza della Repubblica, Álvaro Noboa Pontón) contendersi il ruolo di guida di un Paese sprofondato nella corruzione che contagia politici, imprese e ordine pubblico.