«Ha difeso la dignità, i diritti dei popoli e la costruzione di una pace vera». Così il cardinale Felipe Arizmendi Esquivel, vescovo emerito di San Cristóbal de las Casas, in Messico, ha ricordato il gesuita Marcelo Perez, freddato domenica 20 ottobre con numerosi colpi di arma da fuoco. Il suo impegno per i diritti delle comunità indigene del Chapas
Con la scomparsa del gesuita padre Marcelo Perez, il Messico perde un simbolo della lotta per i diritti delle comunità indigene. Padre Pérez è stato ucciso a colpi di arma da fuoco il 20 ottobre a San Cristóbal de las Casas, storica città del Chiapas – l’area più povera del Messico – mentre dopo la Messa delle sette di mattina, si recava nella parrocchia di Guadalupe. Guidava un furgone bianco viaggiando da solo. È stato colpito da numerosi colpi di arma da fuoco che hanno fermato una vita fatta di fede, attivismo, marce, proteste e denunce. Tutto per i poveri del Chiapas, gli indigeni del sud del Paese.
Il sacerdote apparteneva all’etnia tzotzil. A causa delle molte denunce fatte per difendere la dignità delle popolazioni indigene, aveva subito numerose minacce. Nonostante il pericolo, tuttavia, viaggiava senza scorta. Pérez era un attivista riconosciuto nella regione di Los Altos, dove era nato, e da sempre era impegnato nel portare pace nei conflitti delle comunità represse da narcos e latifondisti.
Il cardinale Felipe Arizmendi Esquivel, vescovo emerito di San Cristóbal de las Casas e voce libera che per anni ha servito la Chiesa degli ultimi, specialmente in Chiapas, ha denunciato la crescita di potere della criminalità organizzata nel territorio dove viveva padre Marcelo, richiamando il governo alle sue responsabilità. Il sacerdote ammazzato era uno dei primi indigeni ordinati dal cardinal Arizmendi: era il 6 aprile 2002. «Si è sempre impegnato per la giustizia e la pace tra i popoli originri, soprattutto nella comunità di Simojovel, accompagnando le vittime della violenza nell’area rurale di Pantelhó, in Chiapas» ha ricordato nell’omelia il cardinale che, assieme ad altri vescovi e sacerdoti, ha voluto essere presente all’ultimo saluto. Sfaldamento sociale, distruzione della famiglia, impunità sono il campo in cui il crimine spazia indisturbato in tutto il Messico, ha denunciato Arizmendi.
Una folla numerosa ha partecipato ai funerali di padre Perez, da sempre accanto ai poveri contadini, ai senza terra, e a chi era stato deportato e non aveva più casa. Nei vari conflitti tra le popolazioni causati dai gruppi dei narcos per il controllo dei territori, padre Marcelo ha seguito personalmente le famiglie che, in fuga dalle bande armate, si rifugiavano nei campi, nelle grotte, in baracche senza luce e acqua per fuggire, anche di notte, dagli scontri armati.
«Che il suo sacrificio non sia vano, ma ci spinga a lavorare con maggiore efficacia per la costruzione di una società più giusta, pacifica e fraterna, in Chiapas e in tutto il Paese, fedeli al messaggio del Vangelo che padre Marcelo ha predicato con la sua vita e la sua morte». Così lo ha voluto ricordate la Cem, la conferenza dei vescovi messicani.
«Padre Marcelo è stato per decenni un simbolo di resistenza per le comunità povere, difendendo la dignità, i diritti dei popoli e la costruzione di una pace vera. Il suo impegno per la giustizia e la solidarietà lo hanno reso un punto di riferimento per coloro che anelano a un futuro senza violenza o oppressione. Rifiutiamo qualsiasi tentativo di minimizzare questi episodi come casi isolati. Il crimine organizzato ha seminato paura e dolore in diverse regioni del Paese, e il Chiapas non fa eccezione. Facciamo un appello alle autorità affinché rispondano con fermezza e ripristinino l’ordine e lo stato di diritto». Così i gesuiti del Messico hanno condannato l’ondata crescente di violenza che affligge il Paese. Il Sud in particolare è funestato non solo da omicidi, ma anche dal reclutamento forzato di persone, rapimenti, minacce e saccheggi delle risorse naturali.
Il parroco ucciso, oltre alla ricerca della pace, denunciava l’aumento nell’uso delle droghe e dell’alcolismo. Attivista negli Altos del Chiapas, padre Marcelo, era stato anche mediatore tra le autorità e i gruppi armati. Amante della natura, sapeva di vivere in un luogo meraviglioso, una terra che ha difeso fino a offrire la vita.