Nel suo nuovo viaggio in America Latina, Papa Francesco farà tappa a Puerto Maldonado, crocevia di cercatori d’oro illegali e violenze contro gli indios. Per iniziare idealmente il cammino verso il sinodo
Per trovare l’oro di Madre de Dios, i cercatori abbattono e bruciano gli alberi di questa parte di foresta amazzonica, considerata tra le aree più ricche di biodiversità al mondo. Poi scavano fino a trovare l’acqua, che viene pompata e sparata in alto, per filtrare il fango in cui si nasconde il metallo prezioso. Per permettere alla polvere d’oro di compattarsi, servono però metalli pesanti, a partire dal mercurio, che inquinano le falde e rendono i terreni sterili. L’oro è una vera maledizione per questa regione, così bella e rigogliosa da meritarsi un nome come Madre de Dios: nonostante sulla carta sia un’area protetta e tutelata, nel giro di pochi anni le sono stati sottratti 100 mila ettari di foresta vergine. E il disastro ambientale continua, nonostante 15 mila di questi ettari siano ormai stati dichiarati irrecuperabili per l’alta contaminazione da metalli pesanti.
Le conseguenze che l’estrazione illegale d’oro ha sull’ambiente non ha fermato i tanti cercatori. Ognuno pensa al proprio tornaconto, e sopporta le difficili condizioni del vivere di questa scelta: un lavoro illegale e duro, svolto in condizioni estremamente precarie, con possibilità di guadagno, ma senza sicurezze.
L’illegalità è per loro un fattore irrilevante. «Il Perù è uno dei primi Paesi minerari al mondo: primo produttore di argento, secondo di zinco; esporta mercurio, rame, carbonio, selenio…. ed è anche tra i primi sei o sette produttori di oro», spiega Mauro Morbello, cooperante responsabile dei progetti di Terre des Hommes in Perù. «Da Madre de Dios si estraggono intorno alle 20 tonnellate metriche annuali d’oro, una quantità tra l’11 e il 14% di tutto l’oro estratto in un anno. Girano molti soldi, e quindi c’è molta corruzione. La politica promette di cambiare le cose… ma sono solo parole: ci sono troppi interessi in ballo». Un giro d’affari superiore a quello della cocaina: 3 mila milioni di dollari annui, di cui un terzo da Madre de Dios. Il commercio della polvere bianca genera “solo” 2.500 milioni.
I piccoli cercatori rispondono solo del proprio lavoro, tanto ci sono i grandi gruppi industriali a dare loro la garanzia di vendere l’oro. Il prezioso materiale viene infatti poi “lavato” dalle grandi multinazionali riconosciute e accreditate; che riescono senza problemi a raffinare il materiale, lavorarlo e commercializzarlo. Il vero guadagno è in mano a loro: imprese che fanno capo a Cina, Australia, Canada.
è anche su questa situazione che il viaggio apostolico di Papa Francesco in Perù vuole accendere i riflettori: il Pontefice il 19 gennaio si spingerà infatti fino a Puerto Maldonado, la capitale del dipartimento di Madre de Dios; e nelle poche ore di permanenza in città incontrerà i popoli dell’Amazzonia e pranzerà coi loro rappresentanti. Sarà un momento importante nel cammino verso il sinodo per l’Amazzonia, annunciato per l’ottobre 2019.
Dare visibilità a chi vive della e nella foresta è un segno importante in un Paese in cui prendere le difese dell’ambiente significa come minimo ricevere minacce, se non addirittura perdere la vita. Edwin Chota è solo il nome più noto tra i tanti attivisti ambientali peruviani ammazzati per il loro impegno. Chota venne ucciso con altre tre persone il 1° settembre 2014, mentre si trovava al confine tra Perù e Brasile, in viaggio per raggiungere le comunità brasiliane che, come lui, si battevano contro il disboscamento illecito. Secondo l’ong Global Witness, dal 2002 alla fine del 2016 sono stati 71 i difensori della terra uccisi in Perù; quasi la metà era di origine indigena.
Prima della foresta e dell’ambiente, l’altra grande vittima peruviana è proprio la popolazione indigena: discriminata, indifesa, povera. In realtà, nella lotta alla povertà il Perù ha fatto passi da gigante: rispetto a 15 anni fa, il Paese oggi ha un reddito del 125% più alto, grazie a una crescita economica annua anche superiore al 6%, legata soprattutto all’esportazione di materie prime. Da due anni il trend è in calo, ma sempre con segno positivo: quasi al 3%. Nel 2005 più di metà della popolazione viveva sotto la soglia della povertà; oggi i poveri, sulla carta, sono più che dimezzati: il 22%.
Eppure, la ricchezza resta concentrata nelle mani di pochi, e in poche aree, quelle urbane; mentre l’80% della popolazione si spartisce meno della metà del reddito dell’intero Paese. Le regioni a maggior produzione mineraria sono quelle con incidenza di povertà maggiore.
Questi dati ridisegnano la mappa del Perù: le aree più povere sono quelle rurali, abitate dalle popolazioni indigene, dove il 43,9% è indigente. Qui mancano le strutture scolastiche (l’analfabetismo sopra i 15 anni tra gli indigeni è del 16,8%, quasi 10 punti in più rispetto alla media nazionale); è difficile avere accesso alla luce elettrica (che manca al 75% delle famiglie indigene di queste aree), all’acqua potabile (a cui accede solo il 35%), alle fognature (56%).
«Indigeni e minori: sono le categorie più povere in Perù. Tra i bambini aymara, per esempio, il tasso di povertà è del 65%», spiega ancora Mauro Morbello. Terre des Hommes è in prima linea in Perù nella tutela dei minori: per strapparli al lavoro forzato nel distretto di Lima (un fenomeno che riguarda un quarto dei minori peruviani); per fermare la migrazione delle bambine sole delle comunità rurali andine verso una vita di sfruttamento come domestiche nelle città; per migliorare l’accesso all’istruzione e a cure sanitarie adeguate nelle comunità alto andine di Cusco.
L’infanzia è anche tra le vittime degli scempi in atto nella regione di Madre de Dios: «C’è anche il dramma dello sfruttamento della prostituzione», continua Morbello. In questa regione, a ridosso delle aree di estrazione, «ci sono circa 400 prosti-bar, dove almeno 3 mila ragazze, principalmente di origine andina o amazzonica, tra cui molte minorenni, sono costrette a prostituirsi e vivono in condizioni inumane. Molte sono vittime di trafficanti». Una piaga che va fermata, e che Terre des Hommes combatte attraverso una campagna nazionale, No te dejes engañar, non farti ingannare.
Qui si inserisce anche il lavoro di padre Xavier Abex, nato in Svizzera 75 anni fa, parroco e fondatore dell’Associazione per la protezione dei bambini e degli adolescenti (Asociación de Protección del Niño y Adolescente, Apronia). Papa Francesco, nella sua visita a Puerto Maldonado, si fermerà all’ostello El Principito (Il piccolo principe), che dal 1996 accoglie minori abbandonati, vittime di molestie, in fuga da violenze famigliari o da situazioni di pericolo.
«La Chiesa, attraverso la sua Commissione per la pastorale sociale e i diritti umani, sente il dovere profetico di lanciare un grande grido di allarme», afferma padre Xavier, riferendosi sia ai gravi problemi ambientali che a quelli sociali, e ricordando che Madre de Dios è una delle zone più violente del Paese, la seconda per numero di omicidi.
Qualche segnale di ottimismo però c’è: lo scorso 21 novembre il Poder Judicial (che corrispondente al nostro Consiglio Superiore della Magistratura), ha lanciato il Pacto de Madre de Dios per la giustizia ambientale, che afferma in 10 punti il diritto delle popolazioni a vivere in un ambiente sano. L’impegno più importante del pacto consiste nella creazione di un “osservatorio di monitoraggio”, che verificherà le procedure contro i reati ambientali e contro chi minaccia i difensori dei diritti dell’ambiente.