La settimana scorsa nel Corrientes una bambina è morta intossicata da un mandarino ricoperto di pesticidi. È solo l’ultimo caso di una lunga serie di vittime provocate dall’uso massiccio di prodotti agrochimici nelle grandi piantagioni di frutta dell’Argentina
A morire per un frutto avvelenato non sono solo i personaggi delle favole. In alcuni Paesi del mondo, il rischio esiste per milioni di civili che abitano le zone delle grandi piantagioni, quasi sempre le più povere del Paese.
Settimana scorsa è successo in Argentina a Mburucuyà, un paese della provincia nord-orientale del Corrientes, che una bambina di 12 anni stava attraversando per andare a catechismo. Avendo trovato un mandarino per terra ai piedi del cancello di una grande piantagione di agrumi, la ragazzina ne ha addentato uno spicchio ma il morso le è stato fatale, come ha confermato in questi giorni l’autopsia. Sul corpo della ragazzina sono state infatti rilevate tracce di Furadan, un pesticida usato per tenere lontani insetti e uccelli ma vietato in Argentina per la sua tossicità che con appena un millilitro di prodotto può uccidere un uomo.
Questa vicenda sulla quale deve ancora essere fatta chiarezza non è altro che l’ultimo caso di una lunga serie di incidenti (anche mortali) provocati proprio dall’uso indiscriminato di agrotossici nei campi argentini. Nel 2011 un bambino di quattro anni residente a pochi metri da una piantagione di pomodori, ancora nel Corrientes, rimase ucciso per essere entrato in contatto con l’Endosulfan, uno dei prodotti più pericolosi del pianeta; altri invece proprio per i pesticidi hanno sviluppato malattie gravi come insufficienze renali croniche.
Gli agrochimici rappresentano dunque un alleato insostituibile per i grandi produttori preoccupati di garantire una massiccia esportazione di frutta all’estero, ma il loro uso espone lavoratori, abitanti e consumatori a rischi enormi. Damián Verzeñassi, professore dell’Università di Rosario che studia gli effetti dei pesticidi sulla popolazione, ha spiegato: «Ci sono molti casi di intossicazione che non vengono denunciati perché le persone non hanno una morte immediata, ma i veleni si accumulano nel loro corpo nel corso del tempo. Il diritto a un ambiente sano è sancito dall’articolo 42 della Costituzione argentina, eppure lo Stato non solo permette la produzione di pesticidi ma la incoraggia. Spesso alcuni di queste sostanze sono state infatti presentate come la panacea per risolvere i problemi della produzione alimentare nazionale». In effetti ad oggi in Argentina le maglie legali sull’utilizzo di pesticidi sono ancora piuttosto larghe: per farsi un’idea basti dire che il 60 per cento degli agrotossici impiegati regolarmente nei campi del Paese latinoamericano sono invece vietati in Europa (e nel nostro continente c’è chi vorrebbe metterne fuorilegge molti altri, ad esempio il glifosato).
Solo recentemente i popoli «fumigados» insieme all’organizzazione non governativa Naturaleza de Derechos hanno organizzato mobilitazioni contro l’uso dei pesticidi. In seguito alle loro manifestazioni, per la prima volta lo scorso maggio il Servizio Nazionale della Sanità e della Qualità Agroalimentare (SENASA) ha pubblicato i risultati dei controlli realizzati sulla frutta e verdura coltivata nel Paese sui quali finora non c’era praticamente alcun rapporto ufficiale. Da un lato, i dati riferiti al periodo 2014-2016 sono insufficienti perché riferiscono solo i casi in cui il campione prelevato supera la quantità massima di pesticidi stabilita dalla legge, formulata però senza tenere conto della pericolosità di tutti gli agrochimici adoperati. Dall’altro invece i numeri sui campioni raccolti tra il 2011 e il 2013 – nonostante non rappresentino l’intero territorio argentino – restituiscono un quadro più preciso ma anche allarmante: i controlli evidenziano infatti la presenza di tracce chimiche nel 63 per cento del totale, ma per alcuni frutti come il mandarino questa percentuale sale anche al 92 per cento. Solo mandorle, patate dolci e cipolle sono risultate negative a tutti i controlli. Tra i pesticidi scoperti sulle coltivazioni, poi, ce ne sono anche quattro proibiti dalla legge argentina ovvero il DDT, l’azinfos-methyl, il metamidofos e l’endosulfan che è bandito praticamente a livello globale.
Nonostante dunque la situazione sia ormai sotto gli occhi di tutti, non sembrano esserci segni di miglioramento: lo scorso novembre l’ingegnere Maria Gabriela Sanchez del «Mercado Central» di Buenos Aires ha rilevato un aumento del 5 per cento delle tracce di pesticidi sulla frutta coltivata negli ultimi due anni e ha assicurato che si tratta ormai di una tendenza in crescita. L’allarme era stato lanciato già nel 2012 dall’Auditoría General, un organismo di controllo nazionale: «La salute pubblica in Argentina non è garantita per l’uso irresponsabile di agrochimici. Una misura precauzionale dovrebbe essere la sospensione o l’annullamento del loro utilizzo». Invece ogni anno nel Paese vengono utilizzati 33,9 milioni di chili di veleni nelle colture di frutta e verdura e Buenos Aires è in cima alla lista dei Paesi con il maggior numero di chilogrammi di agrochimici per persona di tutto il Sud America, con 10 kg a testa che arrivano anche a 15 nelle province orientali del Paese.