Negli ultimi quattro anni, secondo dati diffusi della chiesa messicana, sono stati assassinati 15 sacerdoti. E dal 2005 al 2016, dei quasi 140 “operatori pastorali” (sacerdoti, religiose, laici) uccisi del mondo, quasi la metà sono stati uccisi in America Latina.
Con l’assassinio di Padre Joaquín Hernandez Sifuentes, avvenuto il 12 gennaio di quest’anno nella diocesi di Saltillo, il numero di sacerdoti uccisi in Messico dal 2012 ad oggi risale a ben 15. Sparito il 3 gennaio, il corpo del prete è stato trovato senza vita. È triste, fa paura, però questo è il pezzo di gregge che il Signore ci ha affidato. Qui in Messico ci muoviamo come “agnelli in mezzo ai lupi”.
In un paese dove la corruzione ha infettato ogni ambito, non c’è più fiducia, né nei politici, né nelle forze dell’ordine. Quindi, l’unica istituzione ancora degna di fiducia è la Chiesa. Il sacerdote riceve le lamentele, le denunce e gli sfoghi di chi non sa di chi fidarsi. A volte chi denuncia e condanna è lo stesso sacerdote; per questo ogni tanto gli arriva anche la sua propria pallottola.
Non possiamo dire che la Chiesa sia presa di mira; non vogliamo neanche pensarlo, perché ci toglie la serenità. Gli stessi “matones”, “rateros”, “narcos”, “sicarios”, o chiamiamoli come vogliamo, sono anche cattolici. Hanno il rosario al collo e la pistola in tasca; forse pregano anche prima di andare a fare il lavoro sporco. E nelle prediche non si sa mai chi ci sta ascoltando.
Ammazzano i sacerdoti, per vari motivi: fanno prediche pungenti, sanno troppe cose, la loro presenza è scomoda, hanno dei beni che fanno invidiare, si mettono dalla parte degli indifesi, si fanno portavoce dei senza-voce, rifiutano di vendere i sacramenti a chi li vuole comprare. Insomma, muoiono i sacerdoti perché fanno i sacerdoti. Il paese più cattolico del mondo risulta essere la terra più ostile per l’esercizio del sacerdozio ministeriale. Sembra contradittorio, però è la triste verità.