Messico, un viaggio nel cuore dell’uomo

Le giornate accanto ai migranti, che mantenevano la speranza in mezzo alla sofferenza, mi hanno mostrato la luce che resiste al buio. La testimonianza di Elisabetta Ferri, che ha trascorso un mese a Città del Messico grazie percorso Pime dedicato agli universitari “Missione Exposure”
Il mese che ho trascorso a Città del Messico, insieme alle mie due compagne di missione Sofia e Caterina, ha rappresentato un’esperienza all’insegna dell’incontro con una cultura veramente diversa rispetto a quella a cui eravamo abituate. Abbiamo condiviso le nostre giornate con famiglie migranti scappate dai Paesi del Sud America per raggiungere gli Stati Uniti. Di fronte al grande dramma della loro sofferenza sono rinate in me molte domande che avevo accantonato: «Che senso ha il dolore? Perché tutto questo? C’è speranza?». Questi interrogativi, e tanti altri, hanno accompagnato le mie giornate in missione e anche ora restano presenti nel mio cuore. Non ho trovato risposte, ma ciò che più mi ha colpito è stato vedere come fossero gli stessi migranti a offrirci una strada da seguire per affrontare le domande che nascevano in noi senza farci travolgere. Proprio loro ogni giorno ringraziavano Dio per avercela fatta ad arrivare fino a lì sani e salvi, oppure – con il poco denaro rimasto loro dopo il viaggio – si recavano alla Basilica di Guadalupe per poter pregare ai piedi della Madonna.
Questo sguardo positivo sulla realtà, anche dentro ai grandi drammi vissuti, si è fatto strada in me sempre di più, anche e soprattutto grazie alle missionarie scalabriniane che ci hanno ospitato. Ogni giorno, prima di metterci in viaggio per la Casa del migrante, ci chiedevano di recitare una preghiera insieme perché loro stesse testimoniavano che «solo nel rapporto con un Dio che ha vinto il male e ha sperimentato il dolore noi possiamo guardare in faccia la sofferenza senza rimanerne schiacciati o indifferenti».
Sono stati giorni per me molto forti, nei quali ho riscoperto la grandezza e la bellezza dell’uomo e del suo cuore. Ho scoperto che anche nel buio più intenso può esserci una luce, magari molto flebile ma in grado di illuminare tutto il resto. I sorrisi, le parole, i gesti, le preghiere delle missionarie e degli stessi migranti in mezzo a tutto quel buio hanno portato tanta luce nei cuori di chi era lì, compreso il mio. La domanda che mi è sorta è: da dove può venire questa luce? Sono stata spinta a guardare dove loro guardavano e ho scoperto che può esserci speranza se si sa chi seguire e se c’è una strada da percorrere.
Ora, tornata alla vita di tutti i giorni, mi è rimasto un grande desiderio di avere anche qua lo stesso sguardo. Nell’incontro con persone tanto distanti da me ho incontrato l’uomo e il suo cuore perché ho riscoperto che tutti – a Milano o in Messico, che uno sia un migrante o uno studente o un missionario – condividono lo stesso desiderio di senso e di speranza. L’incontro con l’altro mi ha permesso di conoscere di più l’uomo e, in ultimo, il mio cuore
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