Un documentario di Patricio Guzmán al cinema dal 10 giugno parte dalla bellezza delle Ande per rievocare gli anni della dittatura di Pinochet, domandandosi se il Paese abbia davvero voltato pagina
«In Cile, il sole per sorgere deve scavalcare colline, pareti di roccia e cime prima di raggiungere l’ultima pietra della Cordigliera. Nel mio Paese, la Cordigliera è ovunque». Sono le parole del regista Patricio Guzmán, che ha scelto di dedicare il suo ultimo documentario, proprio alle montagne che dominano il suo Paese. Si intitola “La cordigliera dei sogni” ed esce nei cinema italiani il 10 giugno da I Wonder Pictures. Le Ande segnano il confine con l’Argentina, ma sono l’anima del Cile: occupano l’80 per cento del suo territorio e sono presenti nello sguardo anche di chi non ha mai affrontato questo territorio selvaggio e primordiale, di una bellezza incantevole. Un baluardo di pietra che include quasi una quarantina di cime che oltrepassano i seimila metri, ben visibile anche dalla capitale Santiago.
Come molti altri cileni, dopo il golpe del 1973 Guzmán ha scelto la via dell’esilio, prima a Cuba, poi in Francia e Spagna. Non senza aver assaggiato lo stile autoritario dei militari di Pinochet: è stato arrestato e trattenuto per due settimane nell’Estadio National, dove finivano i prigionieri politici per essere torturati e uccisi. Lui ne è uscito vivo, ma ha dovuto rinunciare alla sua terra e sognarla da lontano, come ci racconta. E la metafora di questo sogno è proprio la Cordigliera, che racchiude forza, potenza, dolcezza. Una consapevolezza alla quale il regista è giunto solo con il tempo: quando era giovane, le montagne non gli interessavano, non erano rivoluzionarie. Ma con il tempo hanno finito per rappresentare le sue radici. La Cordigliera è madre e protettrice, anche secondo la cantante Javiera Parra. E nelle montagne, racconta uno scultore che ne lavora la pietra, la roccia custodisce ogni ricordo, incusa l’antica anima quechua dei popoli preispanici, ma anche frammenti provenienti da ere geologiche perdute nel tempo.
Patricio Guzmán ha perduto le sue Ande l’11 settembre 1973, quando fu ucciso il presidente Salvador Allende e prese il potere il generale Pinochet. Le immagini di un vulcano andino in eruzione richiamano la tragedia vissuta dal Cile. Quei giorni restano nella memoria dei testimoni che hanno sperimentato sulla loro pelle la repressione e sono sopravvissuti. Oltre ai ricordi, esiste un archivio straordinario di immagini: è quello del regista Pablo Salas, che dal 1982 filma con una telecamera – cambiata nel tempo, con l’evoluzione della tecnologia – tutte le proteste a Santiago. Filmati in cui compaiono madri di famiglia, giovani studenti, suore che manifestano pacificamente e vengono attaccati con idratanti e manganelli. Alcuni manifestanti sono caricati a viva forza dai poliziotti nelle camionette: nessuno sa se torneranno indietro (i desaparecidos cileni sono circa 40 mila, secondo una commissione d’inchiesta del 2011).
La Cordigliera assiste silente agli orrori e alle sparizioni che proseguono fino all’inizio degli anni Novanta. Nel 1998 Pinochet viene arrestato a Londra e accusato di genocidio, terrorismo e tortura, ma non pagherà mai per i suoi crimini. Fino ad allora, i suoi complici avevano negato tutto: le voci raccolte nel documentario narrano di una grande bugia, un incantesimo che i militari si erano inventati per autoassolversi da ogni colpa. Erano i salvatori del Cile, avevano agito per il bene del Paese. Che, guarda caso, coincideva anche con il loro tornaconto: nel 2006, per esempio, vengono scoperti 25 conti bancari negli Stati Uniti a nome di Pinochet con 28 milioni di dollari sottratti allo Stato cileno.
Oggi il Paese sudamericano ha voltato pagina, ma non troppo. Il modello economico neoliberista dei Chicago boys che la dittatura aveva imposto e la struttura istituzionale che lo sosteneva esistono ancora, secondo il regista. La principale risorsa del Cile, il rame, ai tempi di Allende era interamente in mano allo stato, oggi è per lo più proprietà privata e di compagnie straniere. Il neoliberismo che negli anni Settanta ha trovato in Cile il terreno adatto per sperimentare sul campo le sue teorie, in versione rivisitata è un modello vincente a livello planetario.
Anche se l’economia cilena ha avuto un calo del 5,8 per cento nel 2020 a causa del Covid, i cileni sperimentano un maggiore benessere rispetto al passato, che va però in parallelo con la perdita della dimensione sociale. Non ci sono più tortura e repressione come durante la dittatura, ma le persone sono più sole e l’ingiustizia permane. In Cile – ma anche in molti altri luoghi del pianeta – se un povero chiede un prestito i tassi di interesse sono elevatissimi mentre per i ricchi sono incredibilmente bassi. Patricio Guzmán ci racconta che le proteste permangono, così come gli idranti della polizia per reprimerle. Ma sarà compito dei cineasti di oggi, come lo è stato per Pablo Salas, filmare e serbare la memoria. Soprattutto di questi tempi, in cui i diritti umani sono un tema meno sentito anche dai giovani cileni.