Il primo cardinale della storia del Salvador – che fu stretto collaboratore dell’arcivescovo ucciso nel 1980 – ha scelto di inserire nel suo stemma quattro riferimenti che parlano del suo martirio
Lo ha ripetuto più volte in questi giorni Gregorio Rosa Chavez: «La mia porpora è per Romero», l’arcivescovo di San Salvador ucciso dagli squadroni della morte il 24 marzo 1980 e di cui lui era uno dei più stretti collaboratori.
Così – alla vigilia del concistoro di domani, quando oltre che il primo cardinale del Salvador diventerà anche il primo vescovo ausiliare ad essere elevato alla dignità della porpora – Rosa Chavez ha voluto rendere visibile il legame con Romero anche nel motto e nello stemma scelto per il suo servizio come cardinale.
Già il motto – «Cristo nostra pace» – richiama immediatamente la vita donata dal beato Oscar Arnulfo Romero per il suo Paese prostrato dalla guerra civile. Ma è soprattutto nelle quattro figure che compaiono nello stemma che anche visivamente viene richiamata la figura dell’arcivescovo martire. Il richiamo più diretto è anche il più curioso: un rametto di rosmarino fiorito, che compare nel riquadro in basso a sinistra. In spagnolo – infatti – il rosmarino si chiama appunto romero. E nello stemma è posto in dialogo con la palma del martirio, che compare in alto a destra.
Molto significative anche le figure degli altri due quadranti: in alto a sinistra la stella, che nell’araldica sta a significare la devozione mariana, un tratto molto forte della spiritualità dell’arcivescovo Romero. E a completare, in basso a destra, due mani che si incontrano e che – ha spiegato Gregorio Rosa Chavez – vogliono ricordare «l’opzione preferenziale per i poveri», la scelta compiuta dalle Chiese dell’America Latina a Medellin (1968) e a Puebla (1979) e che con il suo episcopato Romero ha incarnato fino in fondo.