La storia del sacerdote fidei donum bergamasco ucciso da Sendero Luminoso nel 1991 in Perù che il prossimo 5 dicembre diventerà beato
Il giovane parroco di Gromo San Marino in provincia di Bergamo, don Ruben Capovilla, mi indica a distanza, nella contrada Grabiasca, la casa dove don Sandro Dordi è nato nel 1931. «È una persona da riscoprire – dice -. Non è molto conosciuto nemmeno al suo paese». Lo credo bene. A dieci anni se ne va in seminario, prima a Clusone e poi a Bergamo. Torna per la prima Messa nel 1954, ma rimane a casa meno di un mese: parte subito per il Polesine infangato dall’alluvione. Nel 1969 passa in Svizzera coi migranti italiani: si fa assumere da una ditta di orologi a Le Locle, presso Friburgo, e diventa prete operaio. Nel 1979, la decisione più difficile: tornare in diocesi o spingere l’acceleratore sulla missione? Don Sandro fa i suoi conti con realismo, parla con delle persone, pensa e compie viaggi fino alla decisione finale: diocesi di Chimbote, Perù, quasi 500 chilometri a nord di Lima.
Si occuperà di contadini sfiduciati, di donne sfruttate e di giovani senza futuro. In un clima secco e su strade polverose. Senza orari e senza orologi come in Svizzera. Resistendo a tutto fuorché, alla fine, all’ideologia che uccide. Quella partenza e la scelta di quel posto – insieme alla decisione di non mollare nei giorni finali («non posso lasciare ora la mia gente») quando la minaccia di Sendero Luminoso è ormai sulla bocca di tutti – fanno ora di don Sandro Dordi il primo prete diocesano missionario e il primo sacerdote bergamasco (in una storia quasi bimillenaria) a essere riconosciuto come martire e salire, come si dice, alla gloria degli altari.