Tra i decreti della Congregazione per le cause dei santi resi noti oggi c’è anche quello sul martirio di un «fidei donum» americano, ucciso nel 1981 dagli squadroni della morte nel pieno del genocidio. Minacciato aveva scelto di tornare, per non abbandonare il proprio gregge
Papa Francesco ha promulgato una nuova lista di decreti della Congregazione per le cause dei santi, tra i quali ce n’è uno particolarmente significativo per il mondo della missione.
È stato infatti riconosciuto ufficialmente il martirio di padre Stanley Francis Rother, un sacerdote dell’Oklahoma ucciso «in odium fidei» nel Guatemala nel 1981. Sarà il primo missionario americano ad essere venerato dalla Chiesa come martire. Ma – al di là di questo – sarà venerato martire per la sua vita donata senza riserve alle tribù degli tzutujil, popolazioni native che vivono sulle montagne del Guatemala. È proprio per il suo impegno in difesa della loro dignità e dei loro diritti, infatti, che padre Francis venno ucciso a 46 anni nel villaggio di Santiago Atitlan. Ucciso dagli squadroni della morte, esattamente come le altre decine di migliaia di indios sterminati o fatti sparire nel nulla negli anni Ottanta nel genocidio del Guatemala, perpetrato dal regime del generale Efraín Ríos Montt nell’ambito della lunga guerra civile conclusasi solamente nel 1996.
Attraverso il riconoscimento del martirio di padre Rother la Chiesa oggi dice – in qualche modo – che anche tutte le altre violenze di quella stagione in Guatemala sono state un crimine compiuto «in odio alla fede».
Padre Francis era nato a Okarche in Oklahoma nel 1935; ordinato sacerdote nel 1963 aveva svolto il suo ministero in alcune parrocchie della diocesi di Oklahoma City. Poi nel 1968 – rispondendo a un appello specifico lanciato da Giovanni XXIII alla Chiesa degli Stati Uniti, affinché destinasse sacerdoti alla missione in Centramerica – aveva chiesto di essere inviato nella missione di Santiago Atitlan, tra i tzutujil, nel sud-ovest del Guatemala. Per imparare il più in fretta possibile la loro lingua viveva insieme a una famiglia locale. E l’aveva appresa così bene da diventare l’autore della prima traduzione dei vangeli nella lingua tzutujil e – anni dopo – anche del rito della Messa, che celebrava con loro. Le sue origini contadine l’avevano portato però anche a prendersi cura anche di molti aspetti pratici della loro vita: aveva dato vita a una cooperativa agricola, aveva aperto un piccolo ospedale e persino una radio che, trasmettendo dalla missione, promuoveva attività di alfabetizzazione di massa.
Tutto questo non passò però inosservato agli squadroni della morte, sempre pronti a classificare ogni tipo di attività di promozione sociale delle comunità indigene come un sostegno all’insurrezione armata di matrice comunista. Così iniziarono con le uccisioni dei catechisti e gli atti intimidatori: uno dei più evidenti fu un attentato all’antenna della radio. All’inizio del 1981 il nome del missionario stesso iniziò a comparire sulle liste degli obiettivi da eliminare e gli fu consigliato di lasciare il Paese. Restò in Oklahoma qualche mese, ma a maggio decise comunque di tornare perché «il pastore non può abbandonare il suo gregge». Venne ucciso da un killer nella sua casa, nella parrocchia di Santiago Atitlan, nella notte del 28 luglio 1981.
Tra il 1980 e il 1983 sono stati undici i sacerdoti uccisi o scomparsi nel nulla in Guatemala. Tra loro anche l’italiano Tullio Marcello Maruzzo, frate minore, ucciso una manciata di giorni prima di padre Rothen, il 1 luglio 1981, nella parrocchia di Quiriguà. Anche per lui è in corso la causa di beatificazione.