A due mesi dal referendum che ha bocciato la prima intesa il governo e le Farc hanno siglato un testo modificato, che chiarisce alcuni punti contestati. Ma la pace resta da costruire
“Che la parola sia l’unica arma dei colombiani”. Con questo augurio il leader della guerriglia delle FARC, Rogrido Londoño, alias Timochenko, ha apposto la sua firma al nuovo accordo di pace col governo del presidente Juan Manuel Santos. Il quale dal canto suo ha affermato: “Abbiamo frenato l’emorragia. Che non ci siano piú vittime”. Nel teatro Colón, nel centro di Bogotá, è riecheggiata di nuovo la parola pace. E ne ha proprio bisogno questo Paese, l’unico della regione latinoamericana a non aver sofferto un colpo di Stato, ma che da 52 anni non conosce la pace.
In poco meno di due mesi, le parti si sono riprese dallo shock della vittoria del “no”, pur con uno scarto strettissimo, alla prima versione dell’accordo di pace, sottoposto a referendum il 2 ottobre scorso. Pareva tutto fatto. La scelta di Santos, poi, come destinatario del Nobel per la pace pareva aver dato la spallata definitiva. E invece no.
In realtá, né i fautori del no, né la maggioranza di governo che appoggiava il sì avevano previsto un risultato del genere, favorito anche da un assenteismo che toccò quota 62%. La sconfitta correva il rischio di riaprire le porte infernali dello scontro armato, un’eventualità che a certi settori della destra sembra non inquietare troppo. Il suo leader, l’ex presidente Alvaro Uribe, aveva tentato di negoziare un accordo durante la sua gestione proponendo gli stessi punti ai quali oggi si oppone scandalizzato.
Sia le Farc sia il governo hanno saputo reagire con prontezza assicurando prima di tutto la continuitá del cessate il fuoco e ribadendo la volontà di pace. Ma la situazione era delicata. Circa 7 mila guerriglieri stavano già iniziando a sminare zone rurali, concentrandosi in una ventina di settori prestabiliti dagli accordi, nei quali avrebbero consegnato le armi, mentre centinaia di osservatori dell’ONU erano giá in Colombia per il monitoraggio del processo. Il limbo creato dalla vittoria del “no” avrebbe potuto essere terreno fertile per incidenti, soprattutto da parte di chi ha nostalgia della violenza. Santos piú volte ha avvertito l’opinione pubblica del pericolo di questa situazione nebulosa.
Nel frattempo, il governo ha preso atto di centinaia di modifiche agli accordi formulate dai fautori del “no”. Molte di queste sono state accolte in fase di negoziato, che nel frattempo è ripreso. Lo stesso presidente oggi sostiene che le modifiche hanno migliorato il testo finale. La novità principale è il fatto che le FARC faranno un inventario delle loro risorse per poi utilizzarle per risarcire le vittime. Alcuni settori cristiani, durante la campagna del “no”, avevano sostenuto l’idea che l’approccio del testo che tiene conto della realtá femminile (le donne hanno patito molto in questo conflitto, come succede sempre) era un modo per introdurre l’ideologia di gender nel sistema legale colombiano. Santos ha fatto esaminare il nuovo accordo ad esponenti di differenti Chiese ed ha chiarito che né prima né ora è presente una visione di questo genere.
Un terzo aspetto riguarda la giustizia di transizione. Sarà applicata durante dieci anni e non parteciperanno (se non come consulenti) giudici stranieri. Gli incriminati davanti a questi tribunali speciali dovranno raccontare tutto quanto sanno in materia di narcotraffico, altrimenti non potranno godere dei benefici delle pene alternative. Il nuovo accordo, poi, non sará inserito nella Costituzione. Non è stato invece possibile modificare uno degli aspetti spinosi per la destra, e cioè la partecipazione alla vita politica dei leader guerriglieri, che potranno inserirsi in organizzazioni politiche.
La grande incognita in questi giorni era se Santos avrebbe indetto un nuovo referendum. Alla fine sarà il Parlamento a sancire il “patto del teatro Colón”, come lo ha battezzato il presidente, sostenendo che non é più momento di polarizzazioni ma di costruire insieme un futuro di pace.
Santos ha ringraziato le organizzazioni sociali che hanno facilitato il processo ed hanno dato il loro contributo per migliorare un testo lungo e complesso. La grande maggioranza dei settori politici e della società civile organizzata appoggia l’accordo siglato. Vi si oppone una destra estrema nelle sue posizioni, espressione di un’élite ancorata a un’oligarchia rurale e che ha un forte peso nelle zone urbane.
Due ultime considerazioni. L’accordo mette fine a un conflitto, ma resta da costruire la pace. L’inzio dei negoziati con l’ELN, l’altra guerriglia, sono bloccati da divergenze pratiche, mentre le organizzazioni della societá civile denunciano che durante il 2016 circa 200 membri e leader della societá civile sono stati assassinati, quasi sempre ad opera di gruppi armati eredità dei paramilitari.
La seconda è che il 62% di assenteismo durante il referendum dice che esiste un’enorme distanza, tutta da colmare, tra le élite politiche di ogni segno e il resto della gente che vive il disagio di una realtà permeata dalle ingiustizie e dalla violenza. La Colombia è oggi il Paese con i maggiore indici di disuguaglianza nella regione che offrono opportunitá e benefici soprattutto ad alcuni.
Come avvertí a suo tempo Paolo VI, lo sviluppo continua ad essere il nuovo nome della pace.